Sinodalità “dal basso”. Incontro del clero a Collevalenza, verso l’Assemblea ecclesiale regionale

Era dedicata alla prossima Assemblea ecclesiale regionale l’annuale Giornata di santificazione sacerdotale che si è tenuta a Collevalenza giovedì 6 giugno. Per molti è stata l’occasione per comprendere meglio l’impegno che viene chiesto a tutti in questa fase di preparazione all’Assemblea che si terrà il 18 e 19 ottobreprossimi a Foligno, e le sue finalità.

Pubblichiamo di seguito gran parte del contributo di mons. Sigismondi (qui puoi scaricare il testo integrale).

La sinodalità delle Chiese che sono in Umbria

La sinodalità esprime il mistero della Chiesa come comunione, sia nella sua dimensione spirituale, sia sul piano dinamico dell’agire. Prescindendo da un esame delle fonti della nozione di sinodalità, da uno sguardo sulle sue realizzazioni storiche, dalle sue applicazioni ai diversi livelli della vita ecclesiale e dalla sua specificità rispetto ad altri concetti affini, come quello di collegialità, occorre sottolineare che essa è venuta alla ribalta nella teologia cattolica dopo il rinnovamento operato dal Vaticano II.

E tuttavia, a più di 50 anni dalla stagione conciliare, non si è ancora sviluppato nella vita pastorale e nelle strutture ecclesiali uno stile sinodale.

“Chiesa è il nome del convenire e del camminare insieme” (Giovanni Crisostomo, Ex. in Psalm149,2). Questa affermazione mette in luce il duplice aspetto della sinodalità: il rapporto della Chiesa con la liturgia eucaristica, sorgente della communio, e la modalità storica con cui tale communio si attua: “camminare insieme”.

La sinodalità, frutto e condizione della venuta dello Spirito, è la forma esteriore che il mistero della communio assume nella vita della Chiesa. La sinodalità trova nel discernimento la sua più alta definizione; esso non precede l’azione ecclesiale, ma è il risultato di un paziente cammino di verifica (verum facere) che, all’interno di un’autentica vita di comunione, punta ad accogliere “ciò che lo Spirito dice alle Chiese” (Ap 2,7).

La sinodalità si manifesta, anzitutto, nella presa di coscienza che il sacerdozio ministeriale, nato nel Cenacolo unitamente all’eucaristia, è posto al servizio del popolo sacerdotale. I ministri ordinati, quali “servi premurosi del popolo di Dio”, sono chiamati a essere sempre più formatori di coscienze e sempre meno gestori diretti di tutte le attività pastorali, di cui i fedeli laici sarebbero “i beneficiari o la clientela”. (…)

Sinodalità e organismi di partecipazione

L’attento esame delle modalità di interazione tra il principio di sinodalità e il servizio di chi presiede mostra che nella Chiesa gli organismi di partecipazione, previsti dal Diritto canonico, “non si ispirano ai criteri della democrazia parlamentare” e, perciò, non si configurano come una sorta di tavolo sindacale o, al contrario, come una cassa di risonanza di decisioni già assunte.

Si tratta di laboratori di discernimento comunitario che, regolati dallo spirito sinodale della convergenza, consentono di ascoltare, nella voce dei fratelli, le esigenze del presente e le richieste dello Spirito santo. Considerato in tale prospettiva, il discernimento implica inevitabilmente il criterio della “gradualità” nella com- prensione della volontà di Dio, che passa sempre attraverso la “porta stretta” delle mediazioni umane.

Dalle sfide dell’ora presente occorre trarre le risorse di creatività e di carità pastorale necessarie per superare le paure che rischiano di bloccare le iniziative e i percorsi possibili.

Unità pastorali

Uno dei principali tentativi in atto per intrecciare in maniera feconda la “pastorale d’insieme” è rappresentato dalle Unità pastorali che, intese come infrastrutture sinodali, offrono ai presbiteri l’occasione propizia di creare piccole fraternità sacerdotali a servizio di più parrocchie. (…)

Il “segno dei tempi” delle unità o comunità pastorali si offre come “momento favorevole” per scrivere non un’altra pagina di “geografia ecclesiastica”, bensì un capitolo nuovo di storia della “spiritualità della comunione”.

Si tratta di un capitolo che esige una radicale revisione della procedura delle destinazioni, la quale, come non può lasciarsi condizionare dalle emergenze pastorali, così non può ignorare che il conferimento di un incarico ministeriale non è “l’attribuzione di un compito da svolgere individualisticamente, ma unapartecipazione alla missione del vescovo entro il presbiterio diocesano”.

Da lavoro “per uffici” pastorali a lavoro “per progetti”

Di fronte a una moltiplicazione di uffici pastorali che crea frammentazione progettuale e operativa, difficoltà di chiarificazione delle competenze e fatica a gestire i diversi livelli relazionali, l’idea di “pastorale integrata”, che fa leva sulla centralità dei destinatari, è una direzione di marcia da consolidare e incrementare, come auspica Papa Francesco al n. 27 dell’esortazione apostolica Evangelii gaudium. (…)

Pur riconoscendo che la progettazione per settori è necessaria per evitare l’improvvisazione, tuttavia forte è il disagio per una certa frammentazione della pastorale della Chiesa. È utile richiamare, al riguardo, quanto si legge al n. 141 del documento finale della XV Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi: “È necessario sviluppare maggiore coordinamento e integrazione tra i diversi ambiti, passando da un lavoro per uffici a un lavoro per progetti”.

Collaborazione regionale

Tale processo va sostenuto a livello interdiocesano, riaprendo il laboratorio del Centro regionale umbro di pastorale, che ha scritto una pagina di vita ecclesiale tanto incisiva quanto breve.

La storia della regione ecclesiastica dell’Umbria incoraggia a percorrere senza indugio questa strada, collaudata da istituzioni di grande importanza, come il Seminario regionale (1912), il Tribunale ecclesiastico interdiocesano umbro (1938), il settimanale La Voce (1953/1984), l’Istitutoteologico di Assisi (1971).

È giunta l’ora di allestire un nuovo cantiere, quello dell’accorpamento degli Istituti diocesani sostentamento clero, promuovendo forme disciplinate di collaborazione operativa. (…)

Ripensare le diocesi

C’è infine la “grande opera” – finalizzata a dare un nuovo impeto all’evangelizzazione – del riordino delle circoscrizioni ecclesiastiche. Si tratta di un processo – indicato insistentemente da Papa Francesco – che non sopporta ulteriori dilazioni. Era l’ormai lontano 1966 quando il santo Papa Paolo VI indicò ai Vescovi italiani la necessità di “procedere alla fusione di non poche diocesi”.

Tale percorso, timidamente intrapreso nei due decenni successivi, ha però portato a risultati piuttosto scarsi rispetto agli obiettivi prefissati e alle esigenze individuate, ovvero “un’estensione territoriale, una consistenza demografica, una dotazione di clero (oltre che di laicato opportunamente formato) e di opere idonee a sostenere un’organizzazione diocesana veramente funzionale e a sviluppare un’attività pastorale efficace e unitaria”. “L’operazione è certamente difficile – ammetteva già Papa Montini –, ma non dovrebbe suscitare il panico e l’opposizione”.

Avviare un processo di riforma

La capacità di avviare un processo di riforma è, dunque, un atto di forte responsabilità pastorale. Davanti alle sfide del tempo presente – “segnato da dure prove e stimolanti avventure” – è necessario riscoprire l’essenziale, indicato dal sommario di Atti 2,42-47: “la Parola di Dio predicata dagli apostoli, la frazione del pane, la preghiera e la condivisione”.

Tutti questi elementi sono imprescindibili per porre la Chiesa “in assetto da uscita”. L’icona più luminosa della “Chiesa in uscita missionaria” è il Cuore aperto di Gesù, da cui sono scaturiti “sangue e acqua”, simboli del battesimo e dell’eucaristia (cfr.Gv 19,33-34).

Il libro di testo che esprime più profondamente l’identità di una Chiesa “in uscita” è quello degli Atti degli apostoli, che occorre riconsegnare alle comunità cristiane e leggere in sinossi con la sua nuovissima ‘versione in lingua corrente’: l’esortazione apostolica Evangelii gaudium.

Gualtiero Sigismondi
vescovo di Foligno – assistente nazionale di Azione cattolica