Un insegnante che insegnando impara: m’è parso doveroso sintetizzare così i miei 17 anni d’insegnamento di materie letterarie al liceo classico. Ho imparato più di quanto non insegnassi; materialmente forse no, ma riguardo a certe impostazioni di fondo sicuramente sì. Effettivamente quando cominciai ad insegnare ero convinto che Boccaccio fosse uno sporcaccione: non avrei saputo dire se praticasse anche lui il bunga bunga, ma certo era lui a servire le storielle più sconce agli inutilmente paludati ospiti del Principe, quando ormai il vino era salito dallo stomaco ai piani superiori. Non avevo capito che anche su un racconto oggettivamente sconcio la poesia nutrita di culto dell’intelligenza può volteggiare leggera, come le farfalle infinitamente policrome volavano (quando ancora se ne vedeva qualcuna dalle nostre parti) sullo sterco di vacca. Effettivamente quando cominciai ad insegnare ero convinto che Machiavelli fosse un furbone di tre cotte, tutto impegnato a suggerire ai Potenti di questo mondo nefandezze orribili, che lui sapeva decentemente indorare, come si fa con la cotoletta alla milanese. Non avevo nemmeno la più pallida idea di come, nella nascente cultura delle autonomie, ogni attività umana aspirasse ad avere un suo ambito, in cui essere sovrana, delle leggi sue, delle sue dinamiche. Ed ero convinto che il Contino di Recanati si fosse salvato in corner con la poesia, ottenendo da lei tutto quello che la vita gli aveva negato. Non avevo mai letto, né ipotizzavo di leggere in futuro, i Paralipomeni alla Batracomiomachia, oppure la Palinodia al marchese Gino Capponi. L’avessi fatto, mi sarei reso conto che, lungi dal fuggire dalla vita concreta, la poesia del Leopardi si nutre di vita concreta, di passione politica, di sdegnoso rifiuto di quella buffonata che era l’Europa disegnata dal Congresso di Vienna. Ma colui che avevo capito meno di tutti era il Manzoni. Quando arriverò anche io nella casa del Padre, spero che non me ne tenga il broncio. Ma no! Ha ben altro cui pensare, lui, che prendersela con un’animula vagula blandula come la mia, che per di più basisce in una plaga remotissima del mondo della cultura qual è l’alta Umbria. Anche perché, una volta che ho scoperto le sue recondite ricchezze, mi sono preso una cotta per lui, pari a quello che in quello stesso torno di tempo mi prendevo per don Milani. Quali “recondite ricchezze”? Urge allungare ancora il brodo. Càpite nos! Certe acquisizioni nascono nello sgabuzzino della scuola, dove contano i registri e le interrogazioni, e finiscono nella Via Lattea delle cose che ti segnano per sempre.
Soprattutto Manzoni
abatjour
AUTORE:
a cura di Angelo Maria Fanucci