Stiamo vivendo giorni tristi e difficili

I cattolici, la pace, la guerra

“Stiamo vivendo giorni difficili e tristi. Giorni in cui il termine “guerra” è tornato ad abitare la nostra quotidianità. Alcuni parlano di una guerra necessaria per liberare un popolo oppresso. Altri sono arrivati a definirla generosa. Altri ancora, con inquietante franchezza, la chiamano preventiva. Quasi che l’arma della legittima difesa possa essere brandita contro le sole, eventuali, intenzioni del nemico. Noi la chiamiamo guerra della paura. Costruire la pace significa lavorare per la libertà. La libertà di tutti e di ciascuno e rifiutare fermamente ogni violenza, intimidazione, costrizione, quella dei regimi totalitari, come quelle delle mafie nostrane. Costruire la pace significa amare. I costruttori di pace stanno agendo. La pace si costruisce ogni giorno e moltissimi sono già all’opera, nelle proprie famiglie e nelle città, nel proprio quotidiano, nelle piccole cose. Il Papa ha inviato il cardinale Etchegaray a Baghdad rafforzando la via del dialogo. Altri sono impegnati a dare centralità alle Nazioni Unite, l’unica istituzione in grado di dare una legittimazione giuridica all’uso della forza nell’ambito della tutela della pace e delle persone. Molti infine stanno pregando, con il Rosario, raccogliendo l’invito del Papa. Guardatevi intorno, aprite gli occhi e scegliete il vostro personale modo di dire che non volete questa guerra, che non volete ogni guerra e volete la Pace….”Sono queste alcune frasi di un messaggio che Paola Bignardi, presidente nazionale di Ac, ha sottoscritto insieme ai responsabili di altre associazioni cattoliche che hanno aderito alla manifestazione per la pace di sabato scorso. Lungi dal rappresentare una adesione acritica ad un pacifismo di maniera, dobbiamo riconoscere che è impossibile e perfino pericoloso, come mostrato dai regimi marxisti del secolo scorso, illudersi di poter costruire una società umana dove si realizzi compiutamente la giustizia e la pace. Infatti l’ antropologia ebraico-cristiana, confortata da secoli di esperienza, parte dal presupposto che l’uomo, segnato dal peccato e dalla corruzione, sia intrinsecamente incapace di ricostruire il paradiso sulla terra. La costruzione della società perfetta pacifica rimane per il cristiano una tensione da perseguire, ma nella convinzione che mai sarà compiuta nel corso della storia umana. In questa luce, non può dunque essere messa in discussione la realistica necessità di conservare, soprattutto da parte delle democrazie, strumenti come gli eserciti e le forze di polizia, per regolare il tasso di violenza ed operare una sorta di riduzione del danno, soprattutto difendendo le vittime della oppressione e della violenza. Detto questo, però, nel caso specifico della guerra all’Iraq, una valutazione pacata e realistica delle motivazioni remote e prossime, porta il mondo cattolico e cristiano, italiano e non, a ritenere che un uso della forza su vasta scala da parte degli Stati Uniti sia oggi del tutto sproporzionato e largamente immotivato. A dire questo non sono soltanto il Papa ed i cattolici pacifisti ed antiamericani italiani, Contrari non a-priori, ma motivatamente e concretamente a questa guerra si sono detti anche gli stessi vescovi cattolici americani e inglesi (saranno anche loro anti-americani per principio?), il Primate della Comunione anglicana, i Patriarchi di Costantinopoli, Antiochia e Belgrado. Di fronte a questa sostanziale unanimità sarebbe davvero grave se l’America, unilateralmente, decidesse di procedere in una guerra preventiva in preda ad una sorta di delirio da superpotenza. Allora sì che darebbe fiato all’antiamericanismo ed alla contrapposizione delle civiltà, con grave danno per tutto l’Occidente. Giovanni Carlotti Delegato regionale Azione Cattolica La guerra non è mai una fatalitàInsieme al Papa, ai vescovi umbri e ai milioni di persone che stanno manifestando in tutto il mondo, preghiamo ed operiamo perché non scoppi la guerra in Iraq. La posizione della Chiesa è netta ed inequivocabile. “No alla guerra. La guerra non è mai una fatalità; essa è sempre una sconfitta dell’umanità. Mai la guerra può essere considerata un mezzo come un altro, da utilizzare per regolare i contenziosi tra le nazioni. Come ricordano la carta delle Nazioni Unite e il diritto internazionale non si può far ricorso alla guerra, anche se si tratta di assicurare il bene comune, se non come estrema possibilità e nel rispetto di ben rigorose condizioni, né vanno trascurate le conseguenze che essa comporta per le popolazioni civili durante e dopo le operazioni militari” (Giovanni Paolo II). Le divisioni che sono emerse (in Europa, nella Nato, tra Onu ed Usa) dovevano prima o poi venir fuori. Non tutto è negativo. Potranno servire per affrontare un problema irrisolto da quando è caduto il muro di Berlino e cioè la questione dell’ordine internazionale e dell’autorità deputata a promuoverlo e farlo rispettare. Giovanni Paolo II è ritornato più volte su tale questione. Per ultimo nel suo Messaggio per la Giornata della Pace del 1’gennaio 2003. Serve un nuovo ordine internazionale per i diritti umani – ha affermato – che vuol dire far progredire la moralità della politica a livello mondiale. E ha spiegato che cosa intende per moralità: “Finché coloro che occupano posizioni di responsabilità non accetteranno di porre coraggiosamente in questione il loro modo di gestire il potere e di procurare il benessere dei loro popoli, sarà difficile immaginare che si possa davvero progredire verso la pace”. E ancora: “Gli incontri politici a livello internazionale servono la causa della pace solo se l’assunzione comune degli impegni è poi rispettata da ogni parte. In caso contrario questi incontri rischiano di diventare irrilevanti ed inutili ed il risultato è che la gente è tentata a credere sempre meno all’utilità del dialogo e di confidare invece nell’uso della forza come via per risolvere le controversie”. Questo vale soprattutto per gli impegni presi verso i poveri. Si pensi, ad esempio, ai programmi non rispettati di lotta contro la povertà e agli impegni rimasti sulla carta di destinare lo 0,7% del Pil. Non è con le armi che si combatte il terrorismo, ma affermando nel mondo la solidarietà e la giustizia sociale. Non può esserci pace duratura se non si colmerà il divario, che sta crescendo in modo preoccupante, tra i nuovi diritti promossi dalle società tecnologicamente avanzate e i diritti umani elementari, come il diritto al cibo, all’acqua potabile, alla salute, alla casa, all’istruzione, all’autodeterminazione dei popoli. Rispetto a tutto ciò occorre prendere coscienza che l’asse Occidente – America non corrisponde più ad un mondo profondamente cambiato. Era inevitabile che fosse entrato in crisi. La questione vera è l’alleanza ampia per un nuovo ordine internazionale che non vuol dire la costituzione di un super – stato globale. L’Italia e l’Europa, forti della loro antica civiltà fondata sui valori dell’umanesimo cristiano, possono favorire questo processo per Organismi internazionali democratici – l’Onu in primo luogo, ma anche la Corte penale internazionale, il Fmi, la Bm, la Fao, il Wto – che operino affinché ogni decisione sia a misura della dignità umana e per una pace fondata sui quattro pilastri indicati 40 anni fa da Giovanni XXIII nella Pacem in terris: la verità, la giustizia, l’amore e la libertà.

AUTORE: Pasquale Caracciolo