Se è vero – come sostiene chi fa ricerca scientifica – che porsi le domande giuste è essenziale per trovare risposte, dovremmo chiederci se e come la domanda “Dio, dove sei?” sia corretta dinanzi a un terremoto. Cosa avrebbe dovuto fare il Padreterno? Impedire un sisma legato a leggi di natura? Avvertire in tempo le persone? Salvare miracolosamente la gente?
Non sarebbe piuttosto un’altra la domanda giusta: “Uomo, dove sei?”. Perché la questione – molti e illustri personalità l’hanno detto – è nelle mani dell’uomo: non possiamo prevedere con esattezza i singoli episodi simici, ma conosciamo il livello di rischio dei nostri territori, possediamo la tecnologia per costruire edifici ragionevolmente sicuri, abbiamo le risorse economiche per poterlo realizzare. Come mai non l’abbiamo fatto? Perché evidentemente altre sono le preoccupazioni e le priorità che si è ritenuto assumere, sia a livello politico che negli orientamenti delle persone e delle famiglie. La natura aleatoria e periodica del fenomeno lascia infatti ampi margini alla discrezionalità: potrebbe non toccare a me, per cui non vale la pena investire risorse su qualcosa che potrebbe non servirmi. C
osì questa nostra Italia, tanto splendidamente pronta a venire in soccorso a chi è colpito da calamità naturali, dall’altra parte si ritrova quasi sempre in colpevole ritardo nella protezione del territorio dal rischio sismico e idrogeologico. E questo è un problema dell’uomo. Laddove l’uomo – Norcia docet – si è mosso con responsabilità e intelligenza, ci sono stati danni e crepe, ma non morti.
Allora Dio non c’entra proprio? La domanda “Dio dove sei?” è del tutto inopportuna? Evidentemente no. Solo che non va interpretata in relazione al sisma nella sua fattualità, quanto alla possibilità di intravedere un senso e una speranza in ciò che è accaduto. Se non risuona come un improbabile giudizio, quella domanda diventa un’invocazione, esprime il bruciante desiderio di scoprire il valore nascosto nella sofferenza, di mobilitare la grandezza delle risorse del cuore umano, di poter sperare anche oltre la morte.
Di queste cose c’è vero bisogno, forse più che di tende e pasti caldi, perché da esse dipendono le scelte del presente e le per il futuro, il modo stesso di fronteggiare la sofferenza. Il miracolo più grande da attendersi sarebbe quello di una solidarietà che non tramonti con lo spegnersi delle telecamere, di comunità che vincano le tentazioni del disimpegno e della fuga, di una ricostruzione intelligente e onesta, di cuori che – resi esperti dal proprio dolore – si aprano a quello degli altri.
Questo è lecito e possibile domandare a Dio; su questo è giusto chiamarlo in causa. Certi che non tarderà a rispondere, illuminando chi desidera la luce.
Sono riflessioni che non sono complete e non portano alcun ragionamento logico. Se facessimo le case antisismiche ci sarebbero i maremoti, le trombe d’aria, le malattie, gli allagamenti e sprofondamenti di terreno, i vulcani e gli incidenti nucleari o qualsiasi altra disgrazia che si possa pensare. Mi pare sia stato dimostrato che le case antisismiche non sono immuni al collasso ed in special modo se l’edificio è alto. La riflessione da fare sta invece nel fatto che la statua della madonna, che scrivo con la m minuscola, è caduta in un centro di una piazza mentre gli edifici intorno sono rimasti sani. Ecco dove è Dio, dove vedi che ti protegge, perchè può, perchè ancora non ci si è completamente distaccati. L’idolatria è qualcosa che non studiate mai. Non vi lamentate contro il Vaticano per non rimuovere le statue quando si professa il vangelo in Chiesa oppure ai malati e ci si dimetica dei Santi. Avreste dovuto tenere solo quadri o foto in tali chiese. Ed allora se la Madonna non può più difendervi perchè la distaccate dai Santi, come potete pretendere che Dio sia presente?