All’inizio del nuovo anno da Roma, dalla chiesa del Gesù, sede spirituale primaria dei Gesuiti, sono risuonate parole programmatiche sul modo di fare evangelizzazione; direi sul modo di essere religiosi, sullo stile dell’essere e dell’agire cristiano. La buona novella – ha detto Papa Francesco – deve essere predicata “con dolcezza, con fraternità, con amore”, spiegando subito dopo che ciò comporta il dovere di fuggire dalla tentazione di “collegare l’annunzio del Vangelo con bastonate inquisitorie di condanna”. Il tono rimanda al discorso di Giovanni XXIII all’inizio del Concilio (11 ottobre 1962, Gaudet Mater Ecclesia), parole da allora accolte nel profondo sentire della Chiesa, almeno di grandissima parte di essa: quella che non si è fermata, né arresa di fronte ai mali del mondo e alle difficoltà della missione cristiana, non impaurita nei confronti dei cambiamenti della storia. Queste parole mi pare possano essere una chiave di lettura anche della nostra storia di Chiesa umbra, dell’impostazione dell’episcopato che si è succeduto nel corso degli anni; e per quanto ci riguarda, sono parole con le quali vorremmo qualificare il nostro impegno nella comunicazione: i tre decenni de La Voce che è giusto ricordare, da quel primo numero della svolta, voluta dall’arcivescovo Pagani di cui il presente segna il 30° anniversario (1° gennaio 1984). Dopo aver evocato il 60° di fondazione, abbiamo intenzione di ricostruire una memoria storica del nostro essere cristiani in Umbria, con profondo radicamento nel territorio regionale, così ricco di culture, tradizioni, arte e umanità. Citando il Papa non si tratta di cercare “appoggi autorevoli” al nostro operato, ma di prendere coscienza della sintonia del sessantenne settimanale La Voce con la Parola della Chiesa e con le attese della comunità. I Vescovi, che sostengono questo strumento della comunicazione, anche della loro, che riportiamo con lealtà e libertà, hanno diritto di sapere e di essere confermati della nostra fedeltà alla linea tracciata fin dall’inizio nel primo editoriale del 1984. Ne hanno diritto anche i lettori, che devono sapere che cosa stanno leggendo, e cosa c’è dietro alle pagine e alle firme. “Bastonate inquisitoriali” non ne abbiamo date, non intendiamo imporre a nessuno i nostri punti di vista, non ci impegniamo neppure in aspre battaglie ideologiche. Ma non per questo siamo insensibili alle difficoltà dei tempi e indifferenti agli scandali e alle menzogne. Semplicemente, scriviamo con moderazione di toni, con sincera ricerca di ragioni, quelle proprie e quelle degli altri. Siamo anche felici di scoprire di avere concorso a rafforzare l’idea di unità regionale e di appartenenza delle singole e ben definite realtà locali a una comunità più vasta; e a segnare tutte le caratteristiche dell’Umbria, non solo i difetti, cui sembra che molti facciano fin troppo riferimento. Dolcezza, fraternità e amore pertanto sono stati – se non ci facciamo illusioni – un sentiero, una luce, una guida per il nostro lavoro; e – se non ci facciamo illusioni – riteniamo che tali siano e saranno anche per l’avvenire. Nostro compito sarà di aiutare tutta la società regionale a seguire questi criteri di vita e lasciarsi trascinare dalle parole e dall’esempio di Francesco – sia quello di Roma che quello di Assisi che lo ha ispirato nel nome e nella vita.
Tre decenni in stile “francescano”
AUTORE:
Elio Bromuri