Un anno vissuto nel terrore

DAL MONDO. Il 29 giugno 2014 veniva proclamato il “Califfato” dell’Isis
Militanti Isis presso la provincia irachena di Salahuddin (foto AFP)
Militanti Isis presso la provincia irachena di Salahuddin (foto AFP)

Si trasforma in tragedia anche una vacanza sulle spiagge della Tunisia. È ancora presto per dire se e in che misura sia coinvolto il gruppo terrorista Stato islamico (Isis), ma – a distanza di un anno esatto dalla proclamazione del sedicente Califfato – l’Isis è diventato una minaccia globale, intravista dietro ogni attentato che sia feroce e attuato da kamikaze.

Prima, lo “spettro che si aggirava per il mondo” era Al Qaeda; ora ci si chiede se le due formazioni confluiranno in una. (A noi occidentali potrà sembrare che l’estremismo islamico sia tutto uguale ma, di fatto, solo di recente Al Qaeda e Isis hanno cominciato a cercare vie di collaborazione).

Un anno. Riprecorriamo brevemente i fatti. Il 29 giugno 2014, Ibrahim al-Badri, ossia Abu Bakr al-Baghdadi, proclamò la nascita del Califfato in un territorio compreso tra Siria e Iraq, conquistato dalle milizie fondamentaliste dell’Isis, che era emerso alla luce un po’ prima.

Mosul, Ramadi, Raqqa, Palmira sono alcune delle località su cui ora sventola il vessillo nero del Califfo. Da quel momento una lunga scia di sangue: dal Maghreb al Mashreq, dal Golfo arabico fino all’Afghanistan, jihadisti di varie provenienze hanno espresso fedeltà al califfo Al Baghdadi.

Le stragi contro le minoranze irachene yazide e cristiane, l’uso sistematico dello stupro, della tortura, della pena di morte, dei rapimenti, sono i mezzi abituali con cui i “miliziani neri” impongono la loro supremazia alle popolazioni conquistate. Il tutto, seguendo passo dopo passo un dettagliato manuale di guerra rimasto segreto fino a poco fa, poi rivelato da un’inchiesta del settimanale tedesco Der Spiegel.

A fare da cassa di risonanza mondiale per il movimento terrorista sono state le decapitazioni di prigionieri occidentali, a cominciare dal giornalista americano James Foley il 19 agosto 2014. Il bilancio delle vittime sale giorno dopo giorno: alcune stime lo fissano in almeno 15 mila morti, e va ricordato che la maggioranza di loro erano musulmani. L’Isis non combatte l’Occidente, combatte tutto ciò che non coincide con se stesso. Le minacce si sono estese all’Occidente: “Arriveremo a Roma” ha annunciato tempo fa il Califfo.

I Governi sembrano aver sottovalutato il fenomeno almeno fino a stragi come quella di Charlie Ebdo a Parigi, o al Museo del Bardo a Tunisi.

I cristiani delle aree occupate dall’Isis sono in una situazione disperata. Giorni fa, tra gli altri, il senatore John McCain e Tony Perkins, presidente del Family Research Council americano, hanno rilasciato una dichiarazione in cui si afferma che la strategia di Usa e Europa non sta minimanente fermando i massacri dei fedeli in Cristo.

I miliziani – hanno denunciato – “stanno commettendo feroci atrocità contro le comunità cristiane in Siria e in Iraq, preseguitando le minoranze religiose e distruggendo intere città, intere economie locali. I cristiani fuggono dalle loro case in numero sempre più grande, creando una crisi migratoria esplosiva che avrà pesanti ripercussioni sulla stabilità e sicurezza dell’intera area”.

Dopo un anno, l’Occidente – e non solo – si ritrova a dover prendere misure per salvaguardare la sicurezza interna dalle minacce dei terroristi, che trovano reclute direttamente sul territorio: vedi i killer di Charlie Ebdo, vedi il killer tunisino, che lavorava come animatore di spiaggia.

Sostanzialmente, bravi ragazzi, disagiati per vari motivi, che vengono “assunti” per uccidere, come fanno le mafie in Italia. È lecito, chiedersi che cosa si stia facendo per evitare che le nuove generazioni musulmane conoscano solo odio religioso e intolleranza. Non saranno certo gli aerei della Coalizione a mettere la parola “fine” allo Stato islamico.

 

AUTORE: Dario Rivarossa