Una dolorosa puntura di spillo

Abatjour

Gubbio – Torino 1-0; lunedì 24 ottobre 2011. Il grande Torino battuto dal Gubbio; “grande” perché reduce da cinque vittorie fuori casa, ma “grande” con la “g” minuscola, perché il Grande Torino con la “G” maiuscola era un altro, era quello che si guadagnò un’enorme massa di tifosi vincendo non cinque partite in fila, ma tutt’e cinque i campionati che ricominciarono dopo la guerra, dal 1943. Gubbio – Torino 1-0; lunedì 24 ottobre 2011. Ho ascoltato la partita per radio, rivivendo l’esaltante esercizio di fantasia al quale ci obbligava la radiocronaca e che la telecronaca non permette più. Ma non ho gioito più di tanto: il Grande Torino ce l’ho ancora nel cuore. Da bambino io fui un suo ferventissimo tifoso, perché il Torino… vinceva tutto, e nel calcio chi vince ha sempre ragione. Per quelle vittorie anche io feci la mia parte: a Scheggia, mia madre mi portava a messa tutte le mattine, l’arciprete don Lorenzo Biagiotti mi aveva nominato ufficiosamente “arcichierichetto”, e io presi a fare la Comunione quotidiana perché il Grande Torino continuasse a vincere per omnia saecula saeculorurm. Bagicalupo, Ballarin, Maroso; Grezar, Rigamonti, Castigliano; Menti, Loik, Gabetto, Mazzola e Ossola. Sono passati poco meno di 70 (settanta!!) anni, e io sono ancora in grado, come lo sono stato per tutta la vita, in qualsiasi momento, di ripetere questa formazione. Non poche volte ho pregato per quei miei carissimi Undici, e l’ho fatto in questa formazione. Ma accanto al Torino, anche allora nel mio cuore c’era il Gubbio, che saliva fino alla serie B e scatenava entusiasmi identici a quelli di oggi. Il dott. Mario Baldelli (che poi si sarebbe trasferito a Rimini, percorrendo una notevole carriera professionale) era tra i dirigenti del Gubbio, e qualche anno dopo ne sarebbe divenuto presidente; e mio fratello, il dott. Ubaldo Fanucci, suo compagno di università, suo amico del cuore, fin dagli inizi dell’ascesa del Gubbio verso la serie B metteva a disposizione la sua auto per le trasferte della squadra. Non era una Bugatti 5000, ma una Fiat Topolino 500 B; quattro calciatori riusciva però a portarli, anche se, quando li scaricava a destinazione, i due di dietro avevano le natiche formattate. Nitido il ricordo dell’ultima partita del Gubbio in serie B, ai primi di giugno del 1948. Gubbio – Palermo 0-2. Nitido il ricordo del fortissimo colpo di testa del capitano del Palermo, Boniforti, con il quale la partita si chiuse; il Palermo salì in A, il Gubbio scese in C.  Poi quel 4 maggio 1949. Ero seminarista, seconda media. Avevamo celebrato nella chiesa di San Filippo, in via Cairoli, il fioretto mariano. Mentre uscivamo dalla chiesa, ci si parò davanti Pietro Barbetti, non ancora commendatore, che abitava lì di fronte. Gridava, dal vano della finestra, agitando convulsamente le braccia, parole e lacrime:  “Enno morti tutti!!”. Tutti. Superga. Lo schianto dell’aereo che si mangiò i miei eroi. Tutti. Mi sentii morire. Non so quanto piansi. Da allora non ho mai più fatto tifo per nessuna squadra, pur interessandomi molto di calcio. E oggi… ancora quella formazione. Una puntura di spillo in fondo all’anima, dolorosa.

AUTORE: a cura di Angelo Maria Fanucci