Una fede raccontata

DON ANGELO fanucciL’avevo letto tante volte, ma non ne avevo mai colto la formidabile ricchezza. Parlo del “Credo” degli ebrei, proclamato durante la festa delle Primizie, quando, a conclusione della raccolta del grano, tutti insieme i pii ebrei presentavano a Dio le primizie (Es 34,22) del grano, dell’orzo, dell’uva, dei fichi, dei melograni, delle olive e dei datteri (Dt 8,8). Dio è stato, è e sarà sempre il vero padrone della terra e di quanto essa produce. Il sacerdote prendeva il cesto dalle mani del contadino e lo deponeva davanti all’altare del Signore, poi lo invitava a fare la sua professione di fede, non in aramaico, la lingua parlata, ma in ebraico, la lingua liturgica.

E il pellegrino scandiva le parole del suo credo: “Mio padre era un Arameo errante, scese in Egitto, vi stette come un forestiero con poca gente e vi diventò una nazione grande, forte e numerosa. Gli Egiziani ci maltrattarono, ci umiliarono e ci imposero una dura schiavitù. Allora gridammo al Signore, al Dio dei nostri padri, e il Signore ascoltò la nostra voce, vide la nostra umiliazione, la nostra miseria e la nostra oppressione; il Signore ci fece uscire dall’Egitto con mano potente e con braccio teso, spargendo terrore e operando segni e prodigi. Ci condusse in questo luogo e ci diede questa terra, dove scorrono latte e miele. Ora, ecco, io presento le primizie dei frutti del suolo che tu, Signore, mi hai dato”.

Due soli erano gli articoli di questo Credo, esposti – come tutte le proclamazioni di principio – in forma narrativa, e concernevano i due portentosi interventi di JHWH a beneficio di Israele: eravamo un volgare aggregato, un mucchio, una mandria di uomini, e Dio ci ha trasformati in un popolo. Eravamo un popolo schiavo e Dio ci ha trasformati in un popolo libero.

Credo che anche oggi noi cristiani, con grande beneficio spirituale, nelle nostre liturgie domenicali potremmo premettere al Credo l’espressione di questa “fede raccontata”.

Dovremmo però prima interrogarci se lo siamo, un popolo, noi che ci gloriamo di essere discepoli di Gesù. Se lo siamo davvero: compatti nelle cose essenziali, risolutamente rispettosi del pluralismo nelle cose opinabili, sempre e comunque ben dentro il grande alveo della virtù della carità. E se siamo un popolo veramente libero, di quella libertà che Cristo ci ha donato, che non è semplicemente la “libertà da”, ma la “libertà di”, la libertà di riproporre e attualizzare le grandi invenzioni che Cristo ha portato nella vita della comunità umana: l’amore per i nemici, il primato dei poveri, il primato del servizio sul potere, il perdono non semplicemente come pratica ascetica ma come accoglienza della gratuita e multiforme iniziativa di Dio. Mille e mille intenzioni.

Credo che, da queste due premesse, il nostro Credo ne guadagnerebbe moltissimo.

AUTORE: Angelo M. Fanucci