Una giornata molto particolare

Il giorno dopo il Consiglio nazionale della Comunità di Capodarco, a Roma. È una gioia ritrovarsi insieme, tutte, o quasi tutte, le Comunità di Capodarco sparse per l’Italia. Torno a Gubbio stasera? Bah! Ci sono delle cosucce da fare, sarà bene che mi fermo. Mi consulto con Enrichetto, un invalido sapido ancorché fortemente limitato nel numero dei circuiti cerebrali. “Che ne pensi, Enrichè, mi fermo?”. “Sììì!”. “Ma non ho la macchina!”. “Fa niente: Roma si gira bene con un solo biglietto giornaliero, buono per tutti gli auto e tutte le metropolitane”. Enrichetto vive da tanti anni a Roma, in carrozzina. Roma lui l’ha girata pochissimo, ma ne parla come fosse un tassista. Accetto il suo consiglio. Dovrei recarmi in cinque posti diversi della Capitale. Riesco a raggiungerne solo due. Tutto il resto del tempo impiegato a salire su e scendere da un numero imprecisato di mezzi pubblici. Prima considerazione: ma ce l’ha ordinato il medico di vivere in realtà urbane così convulse? Ci vuole più tempo per attraversare Roma da un capo all’altro che per tornare a Gubbio. Vivere a Roma vuol dire abdicare a metà della propria vita, per affidarla alla Municipalizzata Trasporti. Seconda considerazione: la maleducazione s’è internazionalizzata. L’ho sperimentato di persona. Quand’ero giovane, a Roma utilizzavo per spostarmi il mezzo pubblico; e se, mentre ero seduto, entrava un signore con i capelli bianchi, io mi alzavo di scatto e gli cedevo il posto. Ma dentro di me pensavo: “Verrà il giorno che i capelli bianchi ce li avrò io, e allora…”. Gnaffe! I capelli bianchi ce li ho ormai, un po’ meno numerosi di quando erano neri, ma eccoli tutti qui, candidi sulla mia vetusta crapa, ma il posto non me lo cede nessuno. Gnaffe! Non lo cede lo studente concentrato com’è nella lettura del suo libro di testo: forse è in attesa di un’interrogazione, forse fa solo finta di esserlo, certo è che non solo non si muove, ma nemmeno si degna di alzare lo sguardo. Non cede il posto la ragazza vestita in perfetta mise indù, con la scritta made in Ceylon sul velo serico color giallo acceso e quel fascinoso punto nero fisso in mezzo alla fronte. Il ragazzo nero poi, lui che a maggior ragione dovrebbe cedermi il posto a sedere, vista la totale differenza fra i suoi e i miei capelli, non solo non lo fa, ma mi rifila una boccaccia che non ti dico, con la lingua in fuori come Del Piero quando segna. Sottovoce: brutto figlio di uno sciamano e di un’elefantessa in disarmo, la colpa è di chi ti ha tirato fuori… Sottovoce. In genere sono tollerante, ma oggi, con le caviglie gonfie come cipolle lessate, è una giornata molto particolare, quella in cui la maleducazione mi si rivela internazionalizzata.

AUTORE: Angelo M. Fanucci