Uomo e cristiano?

Parola di vescovo

In questa nostra era postmoderna tutto tende, soprattutto a causa degli attuali strumenti audiovisivi, a scivolar via indistinto, confuso, ‘liquido’ come si dice, senza neppure dar tempo a pensare. E questo può accadere anche in campo religioso. Qualche giorno fa, a un mio amico al quale era sfuggita di bocca una parolaccia, ho detto: ‘Ma che cristiano sei!’. ‘Eh, che sono una bestia?’, mi ha replicato mostrandosi sorpreso di quel mio rimprovero. Uomo e cristiano, secondo lui, sono sinonimi, si identificano. Negandogli il secondo, egli pensava che io gli negassi anche il primo, cioè di essere un uomo. E il suo modo di dire ricorre spesso anche nel linguaggio popolare. Certamente il credente li unisce in sé ambedue: in lui, uomo e cristiano sono uniti, però distinti. ‘Considera che tu sei creato, e devi dar gloria al Creatore ‘ diceva infatti sant’Agostino in un’omelia -. Cosa eri, o uomo? […] Quando non capivi sei entrato; quando non vuoi, esci’ (Quando nescisti intrasti; quando non vis, exis) (Discorsi 289, 6). Incoscienti siamo infatti nel nascere, incoscienti diventiamo nel morire. Fra queste due zone buie si svolge tutta la nostra breve esistenza terrena. Ma allora tutto finirà così, nel buio? No, perché l’uomo non è una bestia, diceva anche quel mio amico. ‘Ci hai fatti per te – affermava ancora sant’Agostino – e il nostro cuore è inquieto, finché non trova riposo in te (quia fecisti nos ad te et inquietum est cor nostrum, donec requiescat in te, Le Confessioni, 1.1). Dio ha creato l’uomo a sua immagine e somiglianza, certamente. Ma questa è una verità che non toglie la distanza fra Dio e l’uomo. Anzi, l’approfondisce duplicandola: mistero ‘nfatti diventa così anche l’uomo, non solo di fronte a Dio, di cui è immagine, ma ancor più quando si chiude in se stesso. E la sua stessa inquietudine ne è un sintomo, perché si sente come chiuso in un guscio troppo stretto. ‘erché proprio qui, in questo stretto guscio del suo corpo, abita la sua anima inquieta. Ed è inquieta anche, anzi soprattutto direi, quando essa è anche credente. La sua fede non l’addormenta nel possesso d’un bene illusorio. La lancia invece, con una irresistibile spinta, verso la visione di Dio. ‘La fede cerca, l’intelletto trova’, affermava ancora sant’Agostino in un modo paradossale (Fides quaerit, intellectus invenit, La Trinità, XV, 2,2). È proprio la fede, infatti, che stimola la nostra intelligenza ad andare oltre il limite della sua capacità di conoscere. E non le dà pace perché, ‘anche dopo averlo trovato, bisogna cercarlo ancora, perché (Dio) è immenso’ (Ut inventus quaeratur, immensus est, Commento del vangelo di Giovanni, 63,1).’Chi non vorrebbe tirarsi indietro da tale fatica?’ egli dunque si chiedeva. E concludeva: ‘Ma spaventa il Vangelo’ (sed terret Evangelium). Eluderlo infatti non si può, comprenderlo in pieno e realizzarlo totalmente come propria regola di vita, è impossibile perché è immenso. Da qui potrebbe, almeno in una certa misura, nascere anche in noi quel primo impatto psicologico con il Vangelo, cioè lo spavento, come avveniva nell’anima inquieta di sant’Agostino.

AUTORE: ' Giovanni Benedetti