Vita, quilla vita

A cura di Angelo M. Fanucci

“Questa è la casa di tutti: entrate pure!”. Sono a Casa Papa Giovanni, alla periferia del paesino di Capodarco, sulla strada che scende da Fermo a Porto San Giorgio. Un centinaio di handicappati, gravi e gravissimi, una ventina di volontari, e don Franco Monterubbianesi che li arroventa. “La rassegnazione non è una virtù, ma la più perfida delle tentazioni! Tutti abbiamo qualcosa da fare: cambiare noi stessi, per cambiare la Chiesa e il mondo!”. Chi pendeva a destra, chi pendeva a sinistra, chi si reggeva sull’unica gamba grazie al fatto che spingeva una carrozzina con sopra uno svitato peggio di lui. Ma tutti avevano qualcosa da fare. Mi colpì un ragazzo focomelico, che al posto della braccia aveva due moncherini cortissimi, e spazzava l’ingresso della vecchia villa Piccolomini in disarmo.

“Mi scusi, potrebbe farmi da guida per conoscere questa vostra comunità?”. La domanda l’avevo rivolta a Michele Rizzi, a fianco della porta e di quel cartello (“Questa è la casa…”): distrofico grave, in piedi, appoggiato con la schiena allo stipite della porta, con la pancia in fuori, impossibilitato a muoversi. “Ce l’hai le gambe buone? E allora pedala! La Comunità è grande, se trovi qualcosa di buono rimani, se non trovi nulla… amici come prima!”. Brutto maleducato! Si risponde così a un giovin pretino di bell’aspetto e gentil portamento, che per l’occasione si è guarnito il collo con il candido colletto bianco d’ordinanza? Brutto maleducato!

Girai, vidi, parlai con molti di loro. Camere tutte dall’arredamento rimediato. Valigie di cartone legate con lo spago, appoggiate su armadi che minacciavano di spanciarsi da un momento all’altro. Partecipai per la prima volta a una loro assemblea. La lingua italiana ne usciva massacrata, ma le cose che un po’ tutti a turno dicevano erano lapilli vulcanici. Attaccavano “lo Stato dei Signori”, attaccavano “la Chiesa dei monsignori”, che a pochi anni dalla sua morte aveva già messo da parte Papa Giovanni, mentre avrebbe dovuto trasformare in realtà le sua indicazione di vita: “La Chiesa è di tutti e soprattutto dei poveri!”. Era la prima volta che sentivo pronunciare quel motto, che in un battibaleno sarebbe diventato fondamentale anche nella mia vita.

Al pranzo provvide un enorme pentolone, sorretto da un treppiedi rimediato, e sotto un fornello a gas di 40 cm di diametro. Vita. Ma che razza di vita è questa? “È quilla che t’ha ’nsegnato lo Principale tuo!” – mi pare che fosse Lucio a parlare. Lucio Marcotulli, con il corpo bloccato dalla cintola in giù, come fosse di gesso. In piedi grazie al suo girello. A un giovane scout che gli confidava di avere grandi sogni per il futuro aveva confidato: “Io sogno solo che ci sia sempre qualcuno che mi tiri su i calzoni quando mi scivolano a terra!”.La vita che m’ha insegnato il mio Principale: cioè?