Politica. Se il voto in Emilia-Romagna era un referendum su Salvini…

di Daris Giancarlini

Non erano l’Armagheddon, le elezioni regionali in Emilia-Romagna, ma molte cose non saranno più le stesse dopo questo voto. Un voto (questo sì, non quello in Umbria) con svariati effetti collaterali a livello nazionale.

Questo, nonostante il fatto che Stefano Bonaccini, il candidato del centrosinistra, abbia prevalso sulla Lega, su Salvini e sul resto del centrodestra per aver mantenuto ristrette al confine regionale le tematiche della propria campagna elettorale. Rivolgendo in sostanza, ai propri cittadini, una semplice domanda: “Perché dovreste cambiare chi vi ha governato finora?”. E sapendo di avere argomenti concreti sui quali chiedere di essere riconfermato presidente della Regione, a partire dalla solidità ed efficacia dell’economia, della sanità e delle tutele sociali.

Probabilmente, all’opposto, Salvini e il resto del centrodestra non hanno mostrato altrettanta chiarezza nell’argomentare i motivi per cui gli emiliani e i romagnoli avrebbero dovuto cambiare colore al governo regionale.

Non è da escludere l’ipotesi che il leader leghista, in campagna elettorale in Emilia- Romagna dal novembre scorso, abbia continuato a proporre principalmente, se non esclusivamente, argomenti nazionali ai cittadini di quella Regione, contando sul fatto che questo approccio aveva assicurato la vittoria in Umbria.

Ma in Umbria il centrosinistra, a partire dal Pd, era imploso per le sue contraddizioni interne, stratificate in anni e anni di lotte intestine, con il ‘di più’ dell’inchiesta su Sanitopoli arrivata a sancire un discredito generalizzato nei confronti della classe dirigente locale. Qui, dunque, il subentro di una nuova maggioranza era scontato.

Tutt’altro in Emilia-Romagna, dove i temi prevalenti della narrazione salviniana (immigrazione e sicurezza), con l’aggiunta di gesti mediaticamente eclatanti, come quello di suonare al citofono di una famiglia tunisina per chiedere se da in quella casa spacciassero droga, non hanno trovato il riscontro di consenso che il leader leghista si augurava.

E mentre Bonaccini ha ottenuto più voti della coalizione che lo sosteneva evitando nella sua regione passerelle di leader nazionali del centrosinistra, la sua avversaria ‘formale’, Lucia Borgonzoni, è stata quasi completamente offuscata dalla campagna invasiva e pressante di Salvini. Dopo la sconfitta, qualcuno nel centrodestra ha definito Borgonzoni una candidata sbagliata.

Ma, nell’ottica salviniana di fare campagna elettorale, qualsiasi altro candidato sarebbe stato offuscato. Non era però successo in Umbria, dove la candidata leghista poi eletta presidente, Donatella Tesei, ha condotto una sua campagna parallela e altrettanto visibile rispetto a Salvini, contando soprattutto sullo spessore politico acquisito nel suo ruolo di sindaco di Montefalco.

Ma la più grande novità delle elezioni emiliano-romagnole è rappresentata dalla comparsa del movimento delle Sardine. Non formalmente schierate con il Pd, hanno tuttavia – come affermato dai loro leader dopo il voto – conseguito il loro obiettivo riportando tanti cittadini disillusi, prima in piazza, e poi alle urne.

Il segretario del Pd, Nicola Zingaretti, le ha ringraziate. Ma se vuole sfruttarne fino in fondo l’effetto positivo per il centrosinistra, in vista di quella che lui stesso ha definito la ‘rifondazione’ del partito, oltre a dire ‘grazie’ Zingaretti dovrebbe mettere mano a un progetto che ne possa assorbire non tanto il consenso, quanto soprattutto proposte e suggerimenti. Per “ridare un’anima” al centrosinistra, come ha detto Romano Prodi commentando l’esito del voto nella sua Regione.

Chi un’anima sembra averla smarrita, insieme al consenso, sono i cinquestelle, che proprio a Bologna avevano avviato la loro avventura politica. Di Maio ne ha lasciato la guida a pochi giorni dal voto in Emilia-Romagna, forse pensando di smarcarsi dall’ennesima sconfitta. I grillini (con un Grillo padre fondatore sempre più assente) preparano i loro stati generali per riorganizzarsi.

In sostanza, dovranno decidere, in quello che sarà un congresso vero e proprio, se diventare in tutto e per tutto un partito vero e proprio. Questione non da poco, visto che una delle parole d’ordine dei 5s resta quella della democrazia ‘partecipativa’ da esercitare tramite la Rete. Questo potrebbe lacerare ulteriormente vertici e base di un movimento in cerca d’identità, avendo fatto proprio della mancanza di identità (“né di destra né di sinistra”) una delle sue fondamenta valoriali.

Infine, anche nel centrodestra a trazione fortemente leghista, dopo il voto emiliano- romagnolo è cominciata la riflessione interna. Giorgia Meloni (Fratelli d’Italia è in costante crescita) chiede a Salvini maggiore collegialità. Facendo intendere, tra le righe, che proprio questo – l’aver trasformato (renzianamente…) quelle elezioni in una sorta di referendum sulla persona del capo leghista – potrebbe essere il motivo principale della sconfitta.