Battaglie culturali

editoriale

Mercoledì scorso in molte città gli studenti hanno manifestato con lo slogan “Fate la scuola, non fate la guerra”. Martedì il filosofo Dario Antiseri ha consigliato al Governo di non fare il Ponte sullo stretto di Messina, ma, se ci sono i soldi – ha detto – “fate piuttosto camerette singole negli ospedali per poter morire in pace”. Provocazioni, si dirà. Discussioni e tensioni a non finire. A proposito di scuola, il vescovo Bassetti, in occasione della festa del Patrono di Perugia, che è anche patrono dell’Università, ha ammonito a non sterilizzare la sorgente dello sviluppo di un popolo, che è la cultura. Anche in caso di crisi economica non si deve segare l’albero dove si è appoggiati. La scuola, l’università, la cultura, quella che fa ricerca, innovazione, educazione, formazione professionale, studio serio, e non superficiali chiacchiere da salotto, sono da coltivare, con il concorso di tutti, anche dei privati cittadini. I Governi non sempre sono in grado di fare certe scelte, soprattutto se legati a trattati internazionali. Un tempo c’erano i mecenati. Anziché costruirsi ville e piscine, non sapendo talvolta neppure nuotare, per pura esibizione, potrebbero sostenere iniziative che rispondano ad esigenze di formazione e di crescita dei giovani. Pensiamo, ad esempio, a quante risorse sarebbero necessarie per sostenere gli oratori parrocchiali, per il restauro di beni culturali, per la formazione e l’ aggiornamento. Chi è disposto a dare una mano? Vi sono delle eccezioni (vedi Cucinelli), ci sono pure interventi regionali. Ma è poca cosa rispetto alle esigenze. Si creano Fondazioni che hanno sapore politico, di correnti fatte più per il potere che per il sapere. Per ottenere tutto ciò in un equilibrato sforzo di collaborazione tra privato e pubblico, nella ricerca del bene comune, è necessario acquisire una mentalità scevra da pregiudizi e adeguatamente informata. Entriamo in un campo di scontro duro. Anche negli slogan sulla scuola, come sopra, si aggiunge spesso “scuola pubblica sì, scuola privata no”. Si ritiene a torto che la scuola privata dreni risorse che dovrebbero essere destinate a quella pubblica. Non vuol entrare in Italia il concetto della libertà effettiva di insegnamento come c’è nelle nazioni occidentali, e non si vuole ammettere che scuole dette “private” in realtà rispondono a un interesse pubblico e costano o niente o molto poco allo Stato. Nonostante dichiarazioni di buone relazioni non si riescono a eliminare “sacche di vecchio anticlericalismo”, come ha affermato mons. Paglia, che ristagnano pesantemente in apparati istituzionali, partiti, sindacati, e si esibiscono anche in alcune trasmissioni che vorrebbero essere progressiste. Si continuano a etichettare come “battaglie clericali” quelle sulla vita, l’aborto, l’eutanasia, la famiglia, mentre sono “battaglie culturali” di tipo antropologico e storico. I segnali indicati spingono le persone responsabili a porsi sul fronte della realtà concreta e dei bisogni reali delle famiglie e dei giovani, senza retorica e con umiltà. Siamo in un crinale della storia. Chi anche tra i più coraggiosi progressisti e i più illuminati capitalisti avrebbe potuto immaginare, che, forse, per salvare la Merloni, azienda umbro-marchigiana nel cuore d’Italia, e il posto di lavoro degli operai, avremmo dovuto ricorrere all’intervento e alle risorse di cinesi e/o iraniani, costretti ad accettare le loro condizioni?

AUTORE: Elio Bromuri