Chi è senza peccato?

l’editoriale

È una grande tristezza dover convenire con il card. Bertone quando afferma, di fronte ad una affollatissima assemblea di clero in festa per la conclusione dell’Anno sacerdotale, che la Chiesa ha perduto di credibilità a causa dei preti pedofili. È ancora più triste quando, in un ambiente piuttosto ristretto di piccole comunità tradizionalmente cristiane, nel giro di poco tempo si avanzino richieste di sbattezzo. Senza giungere a ciò capita di sentire commenti sulla Chiesa da parte di persone che si professano credenti eppure la considerano come una realtà estranea, oggetto di critiche su fatti antichi e nuovi, messi insieme per dimostrarne l’irrilevanza nella società, i ritardi e le contraddizioni. È grave affermare che la Chiesa preferirebbe trattare con i potenti anziché parlare alla coscienza dei popoli. Purtroppo si deve prendere atto che se qualcuno fa e dice cose di questo genere ci devono essere delle motivazioni almeno soggettive e queste vanno conosciute, analizzate e ponderate per valutarne la rispondenza oggettiva. Si deve evitare il trionfalismo di chi identifica la Chiesa con il regno di Dio e il paradiso in terra ed è allergico ad ogni critica, ma anche il pessimismo denigratorio come se la Chiesa fosse un morto residuo archeologico. Si tratta di considerare, oltre i fatti, le ragioni e le condizioni sociali e culturali in cui si sono prodotti. La Chiesa è composta da un popolo di peccatori che cercano perdono e salvezza pur rimanendo sotto la scure della tentazione. Chi è senza peccato? Un mondo di corrotti non pentiti e non confessi non potrà zittire una Chiesa popolata da santi e da martiri in ogni stagione della storia. Così pure la gerarchia cristiana certo non è frutto di democrazia, ma forse non c’è nessuna istituzione che si mette continuamente a contatto e a servizio del popolo senza discriminarlo. Che parli con i poteri costituiti, è una necessità per garantirsi la libertà nello svolgimento della sua missione e la giusta gestione della cosa pubblica a vantaggio di tutti. È apologia questa? Ma certo, “Apologia pro vita mea”. Ogni cristiano, che si comprende dentro la Chiesa, dovrebbe sentire in questo modo. Senza velo all’intelligenza e alla critica costruttiva nei tempi e nei modi, lasciando pure libero il ruolo di chi ha il dono della profezia, che non è critica ideologica o per partito preso. Il profeta corre anche il rischio della sconfitta o emarginazione. Il discorso ora si fa troppo difficile. Ma vorrei dire la cosa che più di ogni altra dovrebbe stare a cuore a tutti coloro che hanno a cuore la missione della Chiesa: la vita santa di tutti i membri, e la comunicazione chiara e forte, sui tetti, con tutti i mezzi che la tecnica mette a disposizione e con tutte le risorse, anche economiche, necessarie. La Chiesa è comunicata male e comunica in modo inadeguato. La comunicazione è la vita della Chiesa perché porta la parola, la parola vera, quella che salva. Lo sappiano i laici e se ne convincano i pastori.

AUTORE: Elio Bromuri