Un appello all’Europa perchériconosca le sue radici cristiane

A margine del Convegno filosofico-teologico sul magistero di Leone XIII

Con un appello a Giscard D’Estaing, presidente della Convenzione europea, perché siano riconosciute le radici cristiane dell’Europa, si è concluso a Perugia il convegno (29 maggio ‘ 1 giugno 2003) promosso dalla diocesi perugina in collaborazione con il dipartimento di Filosofia dell’Università di Perugia in memoria di Leone XIII (1878-1903) nell’anno centenario della sua morte. Nell’appello – che pubblichiamo qui a lato – si afferma che l’elaborazione di un pensiero cristiano ‘ha attraversato due millenni dell’era volgare. In questa storia vi sono momenti particolarmente fecondi legati ai nomi di Anselmo d’Aosta, di Tommaso d’Aquino, del francescano Bonaventura, Pico della Mirandola, Marsilio Ficino, Tommaso Moro, Erasmo’. Senza questi riferimenti ‘il vecchio continente non può adeguatamente presentarsi e autocomprendersi’. Il tema scelto, La filosofia cristiana tra Ottocento e Novecento e il magistero di Leone XIII, a prima vista, era apparso alquanto ostico e riservato a specialisti, ed anche fuorviante visto che Leone XIII è considerato il Papa della Rerum novarum (1891). In realtà egli ha scritto più di 50 encicliche comprendenti un ampio magistero su tutti i problemi del suo tempo. L’argomento filosofico, per alcuni aspetti, ha avuto una trattazione specialistica, che qui è impossibile riportare, come quella degli stranieri Kenny, Chabot, Sorondo, Illanes e altri illustri filosofi italiani, ma nello stesso tempo ha presentato occasioni molteplici e inattesi di attualità, suscitando vivaci dibattiti coinvolgendo anche il pubblico che non è mai mancato. Si sono confrontate le diverse scuole di pensiero, ognuna portatrice di concezioni e valutazioni particolari circa il rapporto tra la filosofia e la teologia, la fede e la ragione, la scienza e la religione. Sono state presentate posizioni che vanno dal minimalismo concettuale di filosofia come semplice possibilità di apertura al trascendente e il massimalismo dell’identificazione di filosofia e teologia. In ambedue i casi il filosofo cristiano si oppone a quel tipo di pensare chiuso in se stesso che presume di esaurire dentro gli stretti confini dell’esperienza empirica ogni possibilità di conoscenza razionale, costringendo la religione entro i confini della ragione positiva. Ma oltre a questa convergenza tesa a salvaguardare la validità teoretica della fede, in questo caso della fede cristiana, i filosofi cristiani si distinguono nella valutazione del ruolo che la filosofia assume nell’ambito della ricerca della ‘verità tutta intera’. Per alcuni è sufficiente chiedere alla ragione di non chiudersi in se stessa e riconoscere i propri limiti rendendosi disponibile alla rivelazione divina e ad una verità trascendente, per altri la vera filosofia è la fede posseduta criticamente, senza cadere nel fideismo, ma in ultima analisi in essa si esaurisce, come ha affermato Edoardo Mirri, coordinatore scientifico del Convegno: ‘la mia filosofia è Cristo’, inserendosi in un’antica (Giustino) e moderna (Moretti Costanzi) tradizione di pensiero. Un dibattito su tale tema, nel contesto della Chiesa attuale caratterizzata da pluralismo culturale non poteva non scaldare l’interesse e raggiungere anche studenti di filosofia e persone non addette ai lavori. La questione della ‘filosofia cristiana’ e del senso che essa può avere ha trovato poi la sua linea di sviluppo alla luce del pensiero di Leone XIII e della sua enciclica Aeterni Patris (1879), una delle prime encicliche scritta dal Pontefice, convinto, già da quando era vescovo di Perugia dove aveva fondato la prima Accademia tomista (1859), che ‘La causa feconda dei mali che ci affliggono e di quelli che ci sovrastano è riposta nelle colpevoli dottrine che sulle realtà divine e umane vennero pronunciate dapprima dalle scuole dei filosofi e s’insinuarono poi in tutti gli ordini della società, accolte con entusiasmo da moltissimi’ (Aeterni Patris). La filosofia non è neutra speculazione astratta, scrive il Pontefice, ma capace di penetrare nelle masse e, se errata, di provocare la decadenza della religione e della morale e la corruzione della società. Questo pensiero è fatto proprio da Giovanni Paolo II che cita con perfetta sintonia il suo predecessore nella lettera inviata all’arcivescovo di Perugia mons. Giuseppe Chiaretti. In modo ancor più ampio e argomentato, d’altra parte, Giovanni Paolo II ha ripreso, aggiornandolo, il pensiero di Leone nell’enciclica Fides et ratio (1998). Nelle due encicliche, in mirabile sintonia si addita ai filosofi e ai teologi la via della concordia tra fede e ragione, tra filosofia e teologia, secondo il modello offerto da san Tommaso D’Aquino, secondo cui, a detta di Gilson, citato da Morra, fede e ragione ‘non possono né contraddirsi, né ignorarsi, né confondersi’. In questo senso si è parlato di san Tommaso e del tomismo, facendo attenzione di non ridurlo ad una fredda forma di scolasticismo astratto ed esclusivo, ma ad un faro che indica un modo e un modello di filosofare nella fede e di credere con l’assenso dell’intelligenza, senza rinunciare alla ricerca critica della verità. A conclusione mons. Chiaretti ha auspicato che possa continuare il dialogo tra i filosofi presenti (oltre quaranta) e altri, perché rimanga viva, all’inizio di questo nuovo millennio, ‘la connessione esistente tra la preoccupazione per una fondazione filosofica della cultura cristiana e la sollecitudine per i problemi dell’attualità politica e sociale’.

AUTORE: Elio Bromuri