100 anni a Monteluce

PERUGIA. La parrocchia celebra un secolo di vita con eventi religiosi e culturali

La comunità parrocchiale di Monteluce festeggia i suoi cento anni con una serie di iniziative che si concluderanno nell’aprile 2013. Perché festeggiare i 100 anni? Perché è importante, perché 100 anni è una cifra tonda-tonda. Non so voi, ma io sono felice di vivere questo centenario, perché nel prossimo… avrò un altro impegno e non ci sarò. Il fatto di celebrare i 100 anni della parrocchia è importante, ci fa bene. Le cose belle, importanti e che durano, vanno ricordate, perché sono segno di qualcosa di grande. Cento anni di una comunità parrocchiale sono un anniversario da festeggiare, in cui farsi gli auguri e in cui ridirsi alcune cose che fanno bene a tutti. Il calendario è ricco di appuntamenti sia religiosi sia culturali che, come note in uno spartito, tessono un “concerto” di voci, esperienze e pause di riflessione. Due sono stati i primi momenti forti. La prima voce è stata quella di don Andrea Lonardo, direttore dell’Ufficio catechistico di Roma, che con passione e sagacia pastorale ha interpretato “L’icona di Betania”; il secondo, più corale, ha cercato di disegnare i tratti del “Profilo storico e vitale della parrocchia di Monteluce”. Passiamo al contributo a più voci sulla storia della parrocchia di Monteluce. Fabio Brazzini con sintesi e padronanza ha illustrato la storia della parrocchia nel suo dialogare con il quartiere e l’ospedale. Silvia Lonzini e Cristiana Sargentini hanno sapientemente tratteggiato sia la storia della parrocchia sia la figura del primo parroco di Monteluce, don Ugo Palmerini (1913-1967).

Alcune note della ricca relazione. La parrocchia di Monteluce in origine si chiama parrocchia di San Martino del Verzaro in Santa Maria di Monteluce, poiché la parrocchia di Santa Maria del Verzaro, con decreto arcivescovile del 24 dicembre 1912, era stata trasferita nella chiesa di Monteluce. Don Ugo Palmerini nasce a Perugia il 15 dicembre 1883, compie gli studi presso il Seminario arcivescovile e viene ordinato sacerdote il 21 dicembre 1907. La Voce (30 aprile 1967) ricordando la sua figura scriverà: “Di mentalità aperta, rispettosissimo della libertà di chiunque, usava verso il suo prossimo gentilezza incomparabile, comprensione e bontà, sempre, anche verso i cattivi e l’affabilità più intensa. Ma la caratteristica che lo farà ricordare negli anni è la sua carità, discreta, generosissima, che soccorreva le miserie nascoste…” . Per don Luciano, don Palmerini è stato un anticipatore dei tempi e dello spirito del Concilio. La conoscenza con il parroco di Monteluce avviene negli anni Cinquanta e dà luogo ad una fruttuosa collaborazione che vedrà poi don Luciano, nel 1967, succedergli alla guida della parrocchia. La figura di don Géza (Cesare) Farkas, sacerdote ungherese che don Luciano conobbe negli anni romani dello studio della Teologia e che avrà un ruolo chiave nelle vicende che portarono alla creazione dell’oratorio di Monteluce a lui intitolato, è stata rievocata da Francesco Trotta. “Condividendo – ha rievocato – appieno la necessità di trovare spazi adeguati alla catechesi dei giovani, secondo uno spirito rinnovato, che vedeva la Chiesa impegnata nel Concilio e attenta ad esperienze quali quella di frère Roger a Taizè, Farkas, che aveva un innato istinto per la diplomazia, aveva stretto legami con la Chiesa tedesca grazie al rapporto di stima e di amicizia con mons. Grüber, vicario generale della diocesi di Monaco di Baviera. Siamo negli anni del Concilio Vaticano II e a Roma si respira un’aria di condivisione, di progettualità, di rinnovamento: ogni occasione di incontro diventa una promessa di collaborazione. Fedele all’impegno contratto con don Farkas, la diocesi bavarese diede un appoggio fondamentale all’acquisto del terreno di via del Giochetto e alla costruzione dell’oratorio. Il card. Julius August Döpfner, arcivescovo di Monaco, stanziò una cifra ingente, di 30.000 marchi dell’epoca, come contributo” e alla sua morte “l’impegno della Chiesa tedesca fu onorato dal successore di Döpfner alla diocesi di Monaco, Joseph Ratzinger”. Tanti altri interessanti contributi si succederanno in questo centenario di una parrocchia a cui tutti noi, tutti voi, dobbiamo la nostra fede.

Riflessione di don Andrea Lonardo sul mistero di Betania, nell’ambito degli eventi per il centenario di Monteluce

“Amiamo Dio per tutto ciò che ci ha dato”

Per don Andrea Lonardo: “Celebrare cento anni è una cosa straordinaria, vuol dire celebrare la forza di Dio che dona la vita. La meraviglia della parrocchia è che è una casa dove chiunque bussa viene accolto. Io sono stato parroco per dieci anni e mi ha sempre colpito questo. La gente a volte non sapeva neanche come mi chiamavo, ma nasceva un bambino: ‘Padre, lo benedica’, moriva un anziano: ‘Padre, venga a dare la benedizione’, c’è la morte, la vita, l’innamoramento, l’amore, i giovani, l’oratorio, la cultura… la povertà era di casa. Questo è il ruolo straordinario della parrocchia”.

L’intervento di don Andrea si è sviluppato incrociando citazioni testuali, iconografia e riflessione pastorale. Ha sottolineato come la donna che nel racconto di Marco è anonima, mentre si specifica il dono che reca con sé “un vaso di alabastro pieno di profumo di puro nardo di grande valore (Marco 14,3) e compie un’azione inaspettata: “Ella ruppe il vaso di alabastro e versò il profumo sul suo capo” cosa che stupisce i discepoli e “ci furono alcuni fra loro che si indignarono perché questo spreco di denaro si poteva venderlo per più di trecento denari e darli ai poveri, ed erano infuriati contro di lei. Allora Gesù disse: lasciatela stare perché la infastidite, ha compiuto un’azione buona verso di me”.

Il senso del mistero di Betania è quello dell’amore che è dono totale, gratuito: “Non c’è amore – dice don Andrea – che non sia dare se stessi, quando uno dice sì, io ti amo, però poi l’anno prossimo potrei cambiare idea, quello non è amore, quel per sempre che è del sacerdote, che è dello sposo, che è del papà, che è del cristiano non è un gioco, è la verità perché solo se l’amore è per sempre è tale, altrimenti è il grande inganno”.

Seconda icona, Luca 7,36 dove c’è di nuovo un’altra donna che asciuga, che bagna, che bacia i piedi di Gesù, è il tema del Perdono: “In questo testo c’è come un gioco. Da un lato Gesù dice: Lo sai, Simone, chi è che ama? Ama chi è stato perdonato… La nostra paura è di essere amati solo se siamo perfetti, se tutto quanto va bene, è l’amore che io dono in eccedenza, come dono che fa sì che io possa ricevere il perdono”.

Terza icona, siamo al cap. 10 di Luca, nella casa di Marta e Maria, ancora il tema dell’amore. Occorre amare Dio “non solo in se stesso, ma lo amo dentro mia moglie, lo amo dentro la musica, lo amo dentro mio figlio, lo amo dentro il lavoro che faccio. Se io amassi solamente Dio, ma non amassi Dio perché mi dà mia moglie, perché mi dà mio marito, perché mi da il mio parroco, la grandezza di Dio è che Dio mi dà loro…”. Don Andrea concluderà ripercorrendo le figure che ruotano intorno alla casa di Betania: “La Maddalena, Maria, Marta, Lazzaro.

AUTORE: Marco Pucciarini