Alluvioni: quando la causa è l’uomo

Nei miei ricordi di bambino c’è la tragica alluvione del Polèsine (1951), con le sue cronache sentite di ora in ora alla radio (non c’era ancora la televisione). Una piena eccezionale del Po uscì fuori dagli argini che erano stati elevati con il lavoro di generazioni, ma si rivelarono insufficienti. Nelle ultime ore, le popolazioni locali, lavorando a forza di braccia, erano riuscite a sopraelevare gli argini ancora di un metro, ma non bastò. Si contarono cento morti e parecchie migliaia di sfollati, senza contare i danni materiali. Ricordo ancora l’alluvione del 4 novembre 1966 a Firenze; e poi tanti eventi simili, fino agli ultimi. Tuttavia c’è da segnalare una differenza. Nel caso del Polèsine, fu la natura a soverchiare le difese erette dall’uomo (gli argini): difese insufficienti, ma non dannose. Nei casi più recenti, fino a quelli dei giorni scorsi, la realtà è diversa. Qui il disastro è stato cagionato proprio dall’opera dell’uomo. Interi quartieri cittadini costruiti sul letto dei torrenti; abbandono di tutte le opere di difesa passiva, cioè i canali di deflusso, o semplicemente dei vecchi fossi scavati dai contadini che segnavano le campagne con un regolare reticolo. Il caso del torrente Bisagno a Genova è eclatante: è stato interrato 80 anni fa, ma allora sbagliarono i calcoli e il canale cementificato sotterraneo risulta troppo piccolo. Ma questo si sa ormai da almeno trent’anni, e non si è stati capaci ancora di fare nulla. Di casi del genere è piena l’Italia. Il fatto è che quando una grande opera pubblica (ma anche una casa privata) è mal progettata, ed è fatta nel luogo sbagliato o nel modo sbagliato, i danni a medio e lungo termine possono essere incalcolabili; e riparare la situazione può costare infinitamente di più di quello che all’epoca costarono quei lavori mal fatti. Eppure, sordi a questi ammonimenti, si continua a costruire e a cementificare a tutto spiano. L’avidità di chi specula sui terreni e sulle costruzioni non conosce freni e trova in genere la condiscendenza degli amministratori locali, abbagliati (quando non dalle tangenti) dalla prospettiva di “sviluppare” il paesello e la sua economia. Un suicidio.

AUTORE: Pier Giorgio Lignani