di Marco Pagniello*
Sono certamente giorni difficili quelli che stiamo vivendo sul fronte immigrazione. Le immagini che arrivano da Lampedusa ci raccontano le tensioni, le fatiche e le paure di queste ultime ore, ma ci riportano a immagini già viste e ci dicono che è tempo di cambiare, di fare altre scelte coraggiose e condivise perché questo momento non diventi l’ennesimo già visto, ma sia un punto di partenza, rappresenti una svolta nel percorso che noi tutti, insieme, possiamo e dobbiamo fare per scrivere una pagina nuova nella storia delle politiche migratorie italiane.
In più occasioni abbiamo sottolineato come non si possa più parlare di emergenza poiché ormai il fenomeno è sistematico. Ciclicamente registriamo da anni fasi di picco e le tragedie che hanno devastato alcuni Paesi dell’Africa di recente; ma anche i tanti drammi, le carestie e le guerre civili che si vivono in altri sono un elemento che influisce sugli sbarchi e su questi picchi di arrivo. Sono persone che fuggono perché i loro diritti e la loro vita sono in pericolo costante; persone cui il viaggio nel deserto e in mare sembra meno pericoloso che rimanere in certi contesti. Ma queste considerazioni, che tutti conosciamo, ci dicono che possiamo realmente incidere e produrre un cambiamento se invertiamo la narrazione e scegliamo di avviare una svolta nella costruzione delle politiche di accoglienza e inclusione in Italia e in Europa.
Un percorso che ci deve vedere tutti uniti, e in cui tutti possono dare il proprio contributo uscendo dalle logiche di contrapposizione. La Chiesa non si è tirata mai indietro, e non lo ha fatto in questi mesi e in queste ultime settimane: un lavoro costante e prezioso che ci permette da anni di accompagnare le persone che arrivano, ma anche le comunità verso un percorso di conoscenza reciproca e di ospitalità fiduciosa dell’altro.
Comprendiamo la fatica e siamo consapevoli degli sforzi delle autorità tutte, degli enti locali e anche delle altre organizzazioni; ma è evidente e necessario lavorare insieme e non divisi, valorizzare il lavoro e le buone pratiche già attive che dicono che è possibile costruire vie di ingresso dignitose e sicure, percorsi di inclusione e azioni di empowerment efficaci i cui risultati ci fanno crescere e migliorare insieme, sostenersi e dialogare in tavoli istituzionali ad hoc e sui territori. In un’ottica di solidarietà ma anche di reale ed efficace sussidiarietà, che non si esauriscano con il finire della bella stagione, che non siano una risposta temporanea, ma siano un punto di partenza nuovo, un passo verso il cambiamento.
* direttore di Caritas italiana