Ascensione. Se ascese, prima era disceso

L’inno della liturgia delle ore, nella solennità dell’Ascensione, invoca lo Spirito quale “Luce di Sapienza” affinché illumini il nostro cuore e lo renda capace di penetrare il mistero del Dio trino e unico.

Nel giorno dell’Ascensione la preghiera della Chiesa contempla il “buon pastore” che ascende al cielo, mentre la Chiesa stessa si fa grembo nell’attesa della Spirito: un Cenacolo che raccoglie il piccolo gregge, “presidiato” dalla vergine Maria. Così la liturgia canta l’ascensione di Gesù:

“È asceso il buon pastore
alla destra del Padre,
veglia il piccolo gregge
con Maria nel Cenacolo”.

Piccolo gregge, “resto d’Israele”, piccolo seme gettato nel campo aperto del mondo, granello di senape che porta in sé il progetto di un grande albero.

Le immagni di “piccolezza” che descrivono la Chiesa

Queste sono le immagini che descrivono la Chiesa di oggi; e i nostri occhi e il nostro cuore sono chiamati a riorientare lo sguardo sull’essenziale, per riscoprire la bellezza di questo tempo.

Per le prime comunità cristiane era chiara la identificazione con la piccolezza: si era consapevoli dell’apparente insignificanza agli occhi degli uomini, della debolezza di fronte al potere civile e politico. Per gli apostoli, forse, questa condizione non era ancora loro patrimonio.

… e l’estasi di fronte alle meraviglie di Dio

Al momento dell’Ascensione al cielo del Signore Gesù, rimangono attratti dallo splendore della gloria dell’evento: una vera “epifania”. Il loro atteggiamento iniziale, è quello di fissare il cielo (At 1,10), immobili ed estasiati. Un atteggiamento simile a quello degli stessi apostoli presenti al momento della Trasfigurazione: “È bello per noi essere qui, facciamo tre capanne” (Mc 9,5). Si sentono parte di quella gloria.

La storia di lì a poco sarà per loro maestra di vita, le piaghe della persecuzione segneranno il loro corpo.

La comunità provata dalle “piaghe”

Anche noi, oggi, rischiamo un certo immobilismo di fronte alle meraviglie che il Signore ha compiuto. Alcune volte Egli ci ha concesso di scorgere i frutti della sua semina, e noi li abbiamo attribuiti alla nostre capacità. E così oggi rimpiangiamo le grandi masse, i raduni, una Chiesa potente capace di intervenire sul potere politico, l’identificazione della comunità civile con la comunità cristiana…

Il ministero sacerdotale da esercitare, percepito come potere: il parroco collocato tra i personaggi influenti del paese, il vescovo, un “eccellenza” tra gli eccellenti, e la sua parola un passe-partout che apre una moltitudine di porte. Abbiamo identificato la gloria del Signore che ascende al cielo con la possibilità della nostra gloria da ricevere dagli uomini.

La gloria di Gesù non è di questo mondo

Ma l’ascensione al cielo di Gesù ci parla di una gloria che non è di questo mondo.

Infatti nella seconda lettura, Paolo scrive così alla comunità di Efeso: “Ma cosa significa che ascese, se non che prima era disceso quaggiù sulla terra?” (Ef 4,9). Quel Gesù che noi contempliamo nella gloria, è lo stesso Gesù che l’ha abbandonata per farsi uno di noi, e ritorna al Padre con i segni della Passione.

Ascensione: mistero da contemplare

L’ascensione è quindi un mistero da contemplare. Ci ricorda che Dio, prima di tutto, si è fatto uomo, e che la sua venuta ha come fine la comunione con Lui, sia nel pellegrinaggio terreno che nella gloria dei cieli.

Per questo la Chiesa nella celebrazione di questa domenica, nella colletta iniziale, ci invita ad esultare di gioia:

“Nel tuo Figlio asceso al cielo la nostra umanità è innalzata accanto a te, e noi, membra del suo Corpo, viviamo nella speranza di raggiungere Cristo, nostro Capo, nella gloria”.

Le nostre comunità, mentre contemplano il mistero che celebrano, non possono non ascoltare la voce che risuona in questo giorno: “Di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra” (At 1,8). Non sono solo coordinate geografiche, ma corrispondono anche a un’indicazione di percorso per le nostre comunità, un vero piano pastorale.

Ripartire da Gerusalemme: dal nostro cuore, bisognoso di riaccendersi per mostrare la bellezza del Vangelo da annunciare. La Giudea: la nostra comunità credente che ancora vive l’esperienza cristiana, ma che ha bisogno di riscoprire la fede, affinché la carità sia la regola di vita. La Samaria, e aggiungerei la Galilea: i luoghi privilegiati dell’annuncio, dove ci verrà chiesto di essere credibili e non solo credenti, come ricordava il beato Rosario Livatino.

Per uscire sulle strade del mondo

In questi luoghi, dove la vita è segnata dalle insicurezze, dai drammi, dalle ferite, dalla disperazione, dal non-senso, la comunità cristiana è spinta dallo Spirito a esercitare il ministero della speranza.

Siamo disposti a uscire dai nostri “focolari ecclesiastici”, a mettere in discussione le nostre granitiche certezze alimentate, non dalla Parola che rinnova, ma dalle tradizioni che anestetizzano?

Non c’è ascensione, se non si discende nell’umanità del nostro tempo.