Bello e faticoso stare in Caritas

Tra 'opere segno' e mete da raggiungere il cammino delle caritas parrocchiali umbre nelle parole dei responsabili diocesani

Dall’esperienza del terremoto alle missioni in Kosovo una linea pastorale ci accomuna prima nella prassi e poi nella teoria… L’aver sofferto insieme ha portato frutti di unità”. Lo dice Giocondo Leonardi, delegato regionale Caritas e direttore della Caritas di Assisi – Nocera – Gualdo Tadino, definendo il contesto regionale delle otto Caritas dell’Umbria che sabato scorso si sono riunite a convegno a Bovara di Trevi per ridefinire strategie operative, riprendere forza e confrontarsi. Molte e significative le opere-segno delle Caritas diocesane: da gemellaggi con paesi del Sud del mondo alle adozioni a distanza, dalle mense per i poveri alle esperienze di missione e campi lavoro all’estero, dalle ‘case di ospitalità’ ai centri di ascolto, dagli ambulatori all’orientamento per gli immigrati. E “tanta la generosità diffusa”. Ai responsabili delle Caritas umbre abbiamo chiesto anche quali siano le difficoltà e le resistenze che incontrano nel loro impegno. Faticosa da realizzare è la condivisione di uno ‘stile Caritas’ (fatto di presa in carico, di azioni liberanti e di promozione, non solo di emergenza e ‘pacchi-dono’, pure utili). Tutti i direttori concordano sul fatto che è urgente un salto culturale per passare dagli interventi-tampone alla prassi della carità evangelica. Quanto difficile sia questo ‘salto’ lo dimostrano diversi aspetti: quasi sempre per mancanza di tempo, parroci e comunità laica sono portati a liquidare con interventi superficiali “l’opzione preferenziale per i poveri” (“Quando va bene ci si limita all’elemosina” dice il direttore della Caritas folignate p. Claudio Montolli); a volte laici ben motivati non sono delegati dai propri parroci a intraprendere azioni diverse. “Il mondo è cambiato ma la Chiesa cammina piano su questi aspetti” afferma Bruno Andreoli condirettore Caritas a Terni-Narni-Amelia. E “la gente s’interroga – per il direttore della Caritas perugino-pievese don Lucio Gatti – solo quando comincia a raccogliere i cadaveri, finché sta bene lascia correre. Mentre il territorio dorme nei suoi allori si susseguono sfratti, c’è tanta gente lasciata a se stessa, e interessi di parte nelle politiche sociali… Noi cerchiamo di tenere sempre aperta la porta dell’ospitalità”. Altro aspetto sul quale abbiamo interpellato i direttori è la distanza tra le generazioni, che traspare da tutte le Caritas disseminate sul territorio della Chiesa umbra. L’età media degli operatori supera i 50 anni: dove sono i giovani? “Dobbiamo essere molto critici verso il sistema sociale-economico dell’Italia di oggi” dice don Paolino Trani direttore Caritas Città di Castello. “In esso è difficile che i ragazzi colgano valori al di là della superficialità; spesso davanti a proposte concrete si limitano a dire ‘sarebbe bello’…”. Altro rischio è che la Chiesa proponga “purtroppo in maniera tiepida” (rischio al quale ha richiamato di recente l’arcivescovo di Spoleto-Norcia mons Riccardo Fontana, delegato CEU per la pastorale della carità) la prassi della carità. Dicono anche Marcello Rinaldi direttore ad Orvieto-Todi e Carlo Carosati vicedirettore a Gubbio: “Si privilegia il raduno, la bella messa, ma così sproniamo a fare una scelta religiosa fragile, mentre occorre dare senso, il messaggio della scelta per i poveri non può essere tiepido”. Anche per don Vito Stramaccia, direttore Caritas Spoleto-Norcia, “i giovani vanno motivati con esperienze forti”; è importante “farsi educare dai poveri” e “attingere senso profondo dalla fede”.

AUTORE: Elisabetta Proietti