Centri di permanenza per i rimpatri: una riforma fatta male

La straordinaria ondata di sbarchi di profughi a Lampedusa ai primi di settembre ha spinto il Governo a inserire nel decreto legge del 19 settembre alcune norme sull’internamento degli immigrati irregolari in apposite strutture detentive. Non è una novità assoluta: i Centri di permanenza per i rimpatri (Cpr) esistono da più di vent’anni, anche se hanno avuto altri nomi, mentre si è allungato via via l’elenco dei casi nei quali uno straniero vi può essere rinchiuso, ed è stata allungata la durata della permanenza. Non si tratta di vere prigioni, ma gli assomigliano molto; e in effetti, per rinchiudervi qualcuno, la questura deve ottenere la convalida del giudice competente, che deciderà dopo aver sentito anche lo straniero e il suo difensore.

Chi entra nei Cpr?

A chi tocca finire in un Cpr? A coloro che hanno avuto un decreto di espulsione. In pratica, gli stranieri che si trovano in Italia abusivamente e quelli che avevano un permesso di soggiorno ma lo hanno perso perché condannati per determinati reati. Però di norma quando c’è un decreto di espulsione si aspetta che lo straniero se ne vada da solo. Se non lo fa, è previsto che il questore ordini che sia “accompagnato” alla frontiera, ammesso che lo si rintracci. Ma anche l’accompagnamento non serve a nulla se non si sa “dove” spedire l’espulso (spesso la sua nazionalità è incerta), e comunque se il Paese di destinazione non è d’accordo. E l’accordo non c’è mai, o quasi. Così il viaggio finisce al Cpr.

Una legge impone un limite di tempo per la permanenza

Però la detenzione nel Cpr non può durare in eterno. La legge impone un limite; sarebbe incostituzionale se non lo facesse. Inizialmente la detenzione poteva durare al massimo tre mesi, poi sono divenuti sei; e adesso – con il decreto legge dello scorso 19 settembre – si può arrivare a diciotto. Insieme agli espulsi che non si riesce ad espellere, nel Cpr possono finire anche gli stranieri di identità e nazionalità incerte. In totale, quindi, una massa di persone. Il numero naturalmente si moltiplica se si prolunga la durata della permanenza. Dove metterli? Il Governo, mentre decideva di mettere più gente nei Cpr e di farcela stare il triplo del tempo, ha dovuto pensare a trovare le strutture adatte a ospitarli tutti.

Dove e come realizzare i Cpr?

Ma queste strutture non ci sono. È vero che lo Stato e gli enti locali hanno una enorme quantità di fabbricati in disuso, ma sono inagibili o comunque non utilizzabili dall’oggi al domani; anche perché quei poveracci hanno comunque il diritto a un trattamento dignitoso, mica può essere un carcere, tanto meno un Lager, lo dice la stessa legge. Dunque al “giro di vite” sul trattenimento forzato nei Cpr – e proprio per renderlo possibile – il Governo deve accompagnare il varo di un programma per l’allestimento delle sedi; senza contare quelli che poi saranno i costi di esercizio. Ci riuscirà? Dubitarne è lecito. C’è il sospetto che si tratti solo di annunci per guadagnare qualcosa alle prossime elezioni, e poi lasciar cadere tutto.

La politica dell’immigrazione dovrebbe essere rivista a fondo

C’è poi un altro problema. Nel meccanismo dei Cpr c’è un “buco nero” che lo rende insensato. In teoria dovrebbe servire a trattenere lo straniero per i tempi tecnici necessari a rendere effettiva l’espulsione. Ma si sa benissimo che se lo straniero non può essere espulso oggi, perché non esiste un Governo estero che lo accetti, la situazione non sarà diversa fra un mese, o fra tre, o diciotto. Quindi è inevitabile che alla fine lo straniero esca dal Cpr senza documenti e senza prospettive di regolarizzazione, proprio come c’era entrato. La politica dell’immigrazione dovrebbe essere riveduta a fondo, senza pregiudizi. Non pare che l’attuale maggioranza sia in grado di farlo, anzi neppure ci pensa.

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