Chiaretti: ‘Vale la pena fare il prete!’

A colloquio con l'Arcivescovo nel suo settantacinquesimo compleanno

È la prima cosa che ha fatto il 19 aprile, giorno del suo 75esimo compleanno: spedire la lettera di rinuncia all’ufficio di Arcivescovo della diocesi di Perugia – Città della Pieve. ‘Non ho fatto altro che quanto prescrive il Codice di diritto canonico, al canone 401’ spiega mons. Giuseppe Chiaretti, arcivescovo di Perugia – Città della Pieve. È prassi, anzi dovere, di ogni vescovo che compia i 75 anni. Sarà poi la Santa Sede, aggiunge, a decidere chi e quando nominare il successore. Inutile chiedergli chi sarà. ‘Non lo so’ risponde. Ma se anche sapesse non potrebbe dirlo perché vincolato dal segreto. Mons. Chiaretti lo incontriamo lunedì nel suo studio al primo piano del palazzo arcivescovile. Non ci sono grandi cambiamenti rispetto all’ultima volta che ci siamo entrati tranne che per il tavolo, coperto di incartamenti, libri e riviste, che si è aggiunto alla sua scrivania, anch’essa colma di fogli. Ci sono ancora le lettere con gli auguri pasquali giunti da ogni dove. Guarda tutto ciò e, indicando anche l’altra stanza con il suo archivio personale, accenna a quando dovrà lasciare quelle stanze al suo successore. In quelle carte c’è la storia del suo episcopato a Perugia, documenti ufficiali accanto a lettere di semplici fedeli. Ma non ha bisogno di guardare lì per fare un bilancio dei suoi 75 anni. Ha nel cuore il volto di coloro che lo hanno accompagnato in questi anni, a cominciare dai preti. Ne ha persi cinque solo nell’ultimo mese, e la gioia dei quattro nuovi che quest’anno ordinerà non basta a compensare la perdita. Ci sono anche molti sacerdoti che per età o salute chiedono aiuto e collaborazione per il servizio pastorale, ma non ci sono abbastanza nuovi preti per soccorrere tutte le situazioni. Un motivo di consolazione è stato l’affetto della gente verso i preti che sono venuti a mancare. ‘C’è desiderio di avere un sacerdote, e lo hanno espresso tutti, a prescindere dalle ideologie’ dice mons. Chiaretti sottolineando la validità del ‘modello italiano e umbro di parrocchia, di prete che sta tra la gente, che si fa animatore della comunità anche civile e sociale’. Si appassiona quando parla dei suoi preti. ‘Sono nato per fare il parroco e ho fatto il vescovo come parroco dei parroci’ ovvero stando in mezzo a loro. Cosa farà quando sarà ‘in pensione’ da vescovo, quando il suo nome si aggiungerà a quello degli altri quattro vescovi emeriti umbri? Tornerebbe in una parrocchia? ‘Non andrò in pensione, credo che nessuna persona dovrebbe andarci’ e aggiunge che sì, ‘quello che mi riuscirebbe più gradevole sarebbe tornare a fare il parroco e non sarei il primo. Un cardinale è tornato in terra di missione!’. Ma non anticipa. Anche qui non sarà lui a decidere. E poi c’è la sua passione per la storia che fin da giovane prete ha fatto convivere con la parrocchia. Per mons. Chiaretti è un modo di esprimere l’amore per la Chiesa e per la comunità concreta in cui vive perché, e ne è profondamente convinto, ‘la storia è fondamentale per entrare nella mentalità di un luogo e di un tempo. Se si conoscesse davvero la storia, e la storia della Chiesa, ci sarebbe meno scandalo di fronte a certi fatti del passato!’. Anche pensando alle situazioni difficili ‘non posso non avere una visione di speranza – dice mons Chiaretti – perché, conoscendola dal di dentro, ho visto come la Chiesa cambi continuamente il suo volto, ed è veramente ‘santa Madre Chiesa’!’. E aggiunge: ‘Ne parlo perché sono innamorato della Chiesa!’. È nato per fare il parroco e ha finito per fare il vescovo. È stato ordinato venticinque anni fa, il 15 maggio. Dal Papa è già arrivata la lettera gratularia per il suo venticinquesimo, rigorosamente in latino. Non ha esitazioni nel leggere quelle frasi, anche se ne ha affidato ad altri la traduzione. Una vita vissuta al servizio della Chiesa, e la domanda sorge spontanea: è valsa la pena fare il prete? ‘Vale la pena fare il prete!’ E lo ripete, e aggiunge: ‘potrei dire anche che vale la pena fare il vescovo. Sono contento perché essere prete era la mia vocazione e lo è rimasta fino alla fine. Dalla mia vita di sacerdote porto via gioia e non malinconia, anche se ci sono stati momenti difficili in questa diocesi, come nella precedente e anche nella mia vita di prete, ma ci sono stati tantissimi momenti di gratificazione, di allegria, di contentezza. Se devo mettere sulla bilancia l’uno e l’altro devo dire che vincono i momenti di gratificazione’. Molte cose sono cambiate da quando, nel 1955 viene ordinato sacerdote. Non ci sono più le folle di credenti e la società non si dice più cristiana. Si potrebbe pensare che la Chiesa ha lavorato invano? Oggi si parla di nuova evangelizzazione e su questo punto mons. Chiaretti ha sempre sollecitato l’impegno pastorale della sua diocesi. In questi ultimi decenni il mondo è cambiato, molto e in fretta, dice mons. Chiaretti. È cambiato anche il modo di vivere la fede che da ‘fede vissuta per tradizione è divenuta sempre più fede per scelta in un tessuto sociale sempre più pagano’. Occorre quindi ‘rifare il cristiano’ come all’inizio della storia della Chiesa. Su questo fronte da vescovo ha chiesto l’impegno di tutti i suoi collaboratori, preti in prima fila, e in questi anni è cresciuta la consapevolezza. Dodici anni di episcopato lasciano il segno. Andando con la memoria alle cose fatte mons. Chiaretti inizia a ricordare, quasi timidamente, poi i ‘frutti’ dell’impegno pastorale di questa diocesi diventano una narrazione impetuosa. Sgorgano vivi dalla memoria come se fossero di ieri: il Congresso eucaristico diocesano, il Giubileo vissuto in diocesi, la visita pastorale. Folle di volti stanno dietro a parole come ministeri istituiti, scuola diocesana di teologia, oratori e non ultimo il Sinodo diocesano, l’ultimo evento pastorale voluto ‘per mettere a fuoco alcune emergenze sul tema di sempre, l’evangelizzazione’.

AUTORE: Maria Rita Valli