Aderire a Gesù totalmente

Commento alla liturgia della Domenica a cura di mons. Vincenzo Paglia vescovo di Terni - Narni - Amelia XIII Domenica del tempo ordinario - anno A

“Chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me; chi ama il figlio o la figlia più di me non è degno di me” (Mt 10,37). Gesù sta parlando al gruppo dei suoi discepoli, e chiede loro un amore radicale che deve superare anche quello che si ha per i familiari più stretti. L’adesione a lui è la scelta fondamentale e più alta, quella che più di tutte è insostituibile nella vita dei discepoli. Anche se comporta la croce. Gesù infatti aggiunge immediatamente: “chi non prende la sua croce e mi segue, non è degno di me”.

Per tre volte in queste poche righe si ripete: “essere degni di me”. È un’insistenza che contrasta con le parole del centurione che la liturgia ci fa ripetere in ogni celebrazione eucaristica: “O Signore, non sono degno che tu entri sotto il mio tetto”. In effetti, chi può dirsi degno di accogliere il Signore? Chi può ritenersi a posto e senza colpa tanto da poter ospitare il Figlio di Dio? Basta che ciascuno guardi con senso realistico la propria vita per rendersi conto della propria pochezza e del proprio peccato. Tuttavia non è che la nostra debolezza ci impedisca di ascoltare la chiamata di Gesù e di seguirlo nei suoi insegnamenti. Certo è però che mettersi alla sequela di Gesù non è una decisione banale. Anzi, essere discepoli di Gesù non è né facile, né scontato, e non è frutto di nascita o di tradizione. Si tratta infatti di una scelta personale che, prima o poi, viene richiesta ad ognuno.

L’odierna pagina evangelica ci dice di quale altezza è tale scelta; non è per nulla semplice anche se resta alla portata di tutti. I discepoli di Gesù sono coloro che condividono senza riserve la sua persona e il suo destino, sino ad identificarsi con lui. In tal senso il discepolo trova se stesso trovando Gesù. È questo il senso delle parole che seguono: “Chi avrà trovato la sua vita la perderà: e chi avrà perduto la sua vita per causa mia la troverà”. Sono tra le parole di Gesù più tramandate (nei Vangeli sono ripetute per ben sei volte). Ovviamente la prima comunità cristiana ne aveva compreso l’importanza e le vedeva realizzate anzitutto in Gesù stesso. Egli ha “ritrovato” la sua vita (nella risurrezione) “perdendola” (ossia, spendendola sino alla morte) per l’annuncio del Vangelo.

È esattamente l’opposto della concezione del mondo: il mondo crede di vivere felice quando trattiene per sé la propria vita, il proprio tempo, le proprie ricchezze, i propri interessi; ma sappiamo i guasti che produce il sentimento di conservazione di se stessi e dei propri interessi a qualsiasi costo. Il discepolo, al contrario, trova la sua felicità nello spendere la propria vita per il Signore e per i poveri, nella rinuncia a conservare se stesso per darsi tutto al Signore. “È molto più bello dare che ricevere”, diceva Paolo ai capi della Chiesa di Efeso, citando un detto di Gesù ignoto ai Vangeli (Atti 20,35). Il “manuale” dei discepoli in missione – così possiamo definire il capitolo decimo di Matteo – viene chiuso dall’evangelista con alcune note sull’accoglienza che viene loro riservata.

È naturale che l’inviato si aspetti di essere accolto da coloro ai quali è mandato. Gesù stesso se lo augura e ne sottolinea la ragione di fondo: “Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato”. In questo versetto si condensa il perché della dignità del discepolo: la totale dipendenza dal Signore, al punto che la loro presenza significa quella di Gesù stesso. È ovvio che si tratta di accogliere il discepolo come “profeta”, ossia come colui che porta il Vangelo, che non annuncia la propria parola ma la Parola di Dio.

Nell’accogliere il discepolo si accoglie il Maestro. Attraverso la parola del discepolo riceviamo la Parola di Dio. E proprio la ricezione della Parola è la ricompensa che il Signore promette a coloro che accolgono i suoi discepoli. Gesù li chiama anche “piccoli”: il discepolo, infatti, non possiede né oro né argento, non ha bisaccia e neppure due tuniche, e deve camminare senza portarsi né sandali né bastone. L’unica sua ricchezza è il Vangelo, di fronte al quale anche lui è piccolo e totalmente dipendente. Questa ricchezza dobbiamo accogliere; questa ricchezza dobbiamo trasmettere.

AUTORE: Vincenzo Paglia