Comunicazione, cultura, democrazia

Si dà il caso che in una città come quella in cui noi operiamo con questo settimanale La Voce, l’organismo pubblico deputato a concedere i permessi di accesso delle automobili al centro storico, dopo aver considerato tutti, i residenti, i commercianti, i professionisti, i vari organi di informazione, a noi non ci riconosce: non rientriamo in nessuna delle categorie previste dal regolamento. Non dico questo per una sterile lamentela che non avrà ragion d’essere a detta e promessa dell’assessore, ma per porre una domanda che anche altri si sono posta: forse la nostra comunicazione, quella che vuole costituire un messaggio cristiano in una società secolarizzata si disperde nella Babele della comunicazione globale? Forse si nota solo chi strilla di più o chi racconta scandali e pettegolezzi? Domande che diventano sempre più attuali e coinvolgenti nella misura in cui gli avvenimenti si fanno traumatici e la voglia di evasione e di distrazione si impone come fuga dall’immenso dolore proveniente dalle tragedie umane. E’ di questi giorni la strage di bambini e giovani precipitati con l’aereo russo, Eppure, finché abbiamo respiro, per fare il verso al Papa, non smetteremo di comunicare quello che siamo che pensiamo e che crediamo. Non vogliamo essere ridotti al silenzio dal rumore assordante delle voci altrui. E’ ciò che in questi giorni si va discutendo in alcuni ambienti di cattolici impegnati nel settore. In uno di questi don Claudio Giuliodori, direttore dell’Ufficio nazionale Cei delle comunicazioni sociali, ha lamentato che nelle 227 diocesi italiane non esiste un progetto organico di pastorale per le comunicazioni sociali”, anzi sembra che regni una “diffusa indifferenza da parte della comunità cristiana” che considera la comunicazione ancora come un “fattore strumentale di cui qualcuno si fa carico più per passione personale che per un’effettiva considerazione ecclesiale”. Ora, il passo che deve essere fatto dai cristiani, ma anche da coloro che hanno a cuore determinati valori e principi, è quello di considerare la comunicazione sociale sul piano culturale. Comunicazione e cultura oggi vanno in stretta relazione, nel senso che attraverso i media si può diffondere una visione del mondo della vita e della religione di un tipo o di un altro e nel senso che la comunicazione di massa per la sua assillante pervasività finisce per avere ragione rispetto a tanti altri insegnamenti che provengano da altre scuole. Prendere coscienza di questo fenomeno è la prima condizione per trovare successivamente le vie per entrare nella comunicazione con efficacia, portando messaggi, stili e metodi che possano aiutare la comunità degli uomini e delle donne, dei giovani e degli adolescenti ad essere e divenire più umana. L’argomento ha una ricaduta anche sociale e di dimensione globale, se mons. Martin, osservatore della Santa Sede presso l’Onu, nel vertice mondiale sulla società dell’informazione che si è tenuto nei giorni scorsi a Ginevra, ha dovuto rivendicare l’accesso alle informazioni e alle tecnologie dell’informazione di coloro che sono tagliati fuori, per facilitare lo sviluppo delle aree più povere del mondo. “L’informazione libera è un pilastro essenziale della democrazia e condizione dello sviluppo” ha detto. Perciò ai paesi poveri non basta portare il pane, ma anche informazione e cultura. Certo prima il pane, ma subito dopo il computer.

AUTORE: Elio Bromuri