Contro la moderna schiavitù

Don Oreste Benzi di nuovo in strada, a Roma, contro la tratta delle donne

Donne ridotte in schiavitù per costringerle alla prostituzione. È la triste e agghiacciante realtà delle ‘lucciole’ ai bordi delle strade o in più discreti appartamenti, che vengono ‘importate’ con l’inganno e la violenza per offrirle sul ‘mercato’ italiano. A riportare l’attenzione su queste ragazze, spesso bambine, a volte è la cronaca, altre volte è don Oreste Benzi che da anni conduce una forte battaglia per coinvolgere le istituzione in questo impegno per la liberazione delle schiave. L’ultima manifestazione l’ha fatta una settimana fa (il 27) a Roma, e per alcuni giorni i mass media hanno di nuovo raccontato storie terribili raccontate da chi, liberata dalla schiavitù, ha vinto anche la paura. Dalle stime condotte dalla Comunità Papa Giovanni XXIII si tratta di oltre 100mila donne ‘obbligate a prostituirsi’. ‘Nessuno di noi ha le mani pulite di fronte a questa schiavitù’ ha detto Benzi a Roma, che ha aggiunto ‘Mestiere più antico del mondo? Questa è l’ingiustizia più antica del mondo! Ma come si fa la sera a restarsene in pantofole davanti alla televisione mentre accade questo? Come ci si può disinteressare di quest’infamia vergognosa? Come si può permettere questo orrore? Soltanto a Roma sono centinaia e centinaia le minorenni nelle strade!’. E si è appellato ‘alle mamme’ prima che a chiunque altro, dicendo ‘guardate negli occhi le vostre figlie, che fareste se ve le portassero via, le picchiassero e le costringessero a vendersi sui marciapiedi?’. Don Benzi si è rivolto anche ai politici. ‘Dove sono? – si è chiesto – Dov’è chi comanda, chi prende le decisioni? Perché non è con noi, qui, a urlare che vogliamo liberare queste ragazze? O forse non esiste un partito che vuole rischiare di perdere dieci milioni di voti, quanti si stimano i clienti delle prostituite”. In quegli stessi giorni la cronaca locale di Perugia portava in primo piano la piaga di questo turpe traffico ma questa volta in un contesto giudiziario che vede il Comune schierato dalla parte delle ragazze sfruttate contro la loro sfruttatrice. Nel corso del processo la giovane costituita parte civile e un’altra sua connazionale hanno riferito agli inquirenti che durante il viaggio in gommone tra il Marocco e la Spagna morirono 12 o 13 di quelle che erano loro. La Corte d’assise d’appello di Perugia ha dunque disposto la trasmissione alla procura della Repubblica della testimonianza resa dalle due giovani nigeriane. La decisione è stata presa al termine del processo di secondo grado nel quale i giudici hanno confermato una condanna a cinque anni di reclusione (uno condonato con l’indulto) a una trentunenne originaria della Nigeria accusata di tratta di esseri umani e riduzione in schiavitù, sfruttamento della prostituzione e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Accuse che la donna ha sempre respinto. La Corte d’assise d’appello ha anche confermato il risarcimento di 35 mila euro nei confronti di una delle giovani e di ottomila euro al Comune di Perugia (che si era costituito parte civile) per il danno all’immagine. I fatti al centro del processo avvennero tra la primavera e l’agosto del 2001 quando tre giovani nigeriane vennero fatte arrivare clandestinamente in Italia con la prospettiva di un lavoro normale. Per il viaggio avrebbero dovuto pagare circa 80 milioni di lire ciascuna. Furono poi costrette a prostituirsi in strada a Perugia – sempre in base alla versione accusatoria – dalla loro connazionale utilizzando anche dei riti vodoo. Nel corso del processo due hanno fatto perdere le loro tracce, mentre un’altra è stata assistita nell’ambito del progetto Free woman del Comune.

AUTORE: Maria Rita Valli