Contro le dipendenze

In occasione della Conferenza regionale sulle dipendenze sono stati forniti i numeri su droga e altri tipi di dipendenza in Umbria, comprese le morti per overdose. I dati sono certamente allarmanti (vedi art. p. 5), e i cronisti non perdono l’occasione per appesantire i toni nella descrizione del fenomeno. Toni ulteriormente allarmati a seguito del delitto del 1’novembre a Perugia. Sui fatti di droga, che fanno sempre notizia, si innesca normalmente, forse inconsciamente, anche una specie di spot pubblicitario a favore del mercato delle sostanze, come quando si dice che con quei pochi grammi sostanza si possono guadagnare tanti soldi. È evidente che ciò fa colpo e induce in tentazione. La fila di quelli che cercano spazi per entrare nel giro dello spaccio si allunga, considerando anche la complessità e incertezza della legge. Chi non ricorda la proposta di aumentare il numero degli spinelli per uso personale per evitare l’accusa di spaccio contro il tossicodipendente? La droga viene presentata dai media, e risulta per molti, un affare: per chi la produce, per chi la vende all’ingrosso e chi al minuto e, stavo per dire, anche per alcuni di quelli che la combattono. Questi ultimi non sono le serie e benemerite comunità che si fanno carico delle sofferenze dei giovani e delle loro famiglie e che agiscono anche sul fronte della prevenzione, ma quelle iniziative che promettono mari e monti fidando su farmaci miracolosi e chiedendo compensi super-adeguati. Quelli invece che non riescono a esprimere soddisfazione e rimangono delusi nella loro lotta alla droga, pur avendo messo in atto costosi progetti e avendo compiuto ogni sforzo possibile, sono gli enti pubblici e i loro servizi specifici, come rileviamo dai dati forniti. Ci si domanda, ad esempio, perché i morti per overdose in Umbria siano tre volte superiori alla media nazionale, pur avendo spese somme ingenti che dovranno essere compensate da un finanziamento straordinario del ministero della Solidarietà sociale. A parte la ricerca sulle cause ultime e penultime che inducono all’uso di sostanze stupefacenti e di altre sostanze tossiche come l’alcol, forse per la situazione umbra ci può essere una qualche relazione proprio con le politiche apprestate per la cosiddetta riduzione del danno e nella strutturazione di centri a bassa soglia e unità di strada. Questi interventi che hanno il carattere dell’ emergenza, per la lor ripetitività e la familiarizzazione dei soggetti finiscono per diventare di ordinaria amministrazione, e quindi alla fine non ottengono lo scopo per cui sono sorte. Il tossicodipendente che usufruisce di questi servizi senza avere una motivazione personale per uscire dal giro e senza che qualcuno lo pungoli con efficaci stimolazioni pedagogiche, educative, sociali e culturali, finisce persino per acquietare un pur esile desiderio di disintossicazione. Non si vuol dire – come ha asserito qualche educatore e associazione familiare – che si devono spingere i tossicodipendenti ad una condizione esistenziale di ‘disperazione’ per favorire la presa di coscienza sul loro stato reale e indurli a decidersi per un cambiamento di vita. Sarebbe una cura troppo drastica, e qualcuno potrebbe rimanerci. Ma all’opposto, il dare sollievo, sostegno, sostanze, ambienti per rifocillarsi, può veicolare l’idea che tutto è normale e che la loro, quella dei tossicodipendenti, anche arrivati ad uno stadio di degrado fisico, è una ‘rispettabile’ scelta di vita, come ogni altra. Se così fosse per risolvere il problema non servono più soldi ma una diversa politica, anzi filosofia sociale.

AUTORE: Elio Bromuri