Il coraggio di credere ai segni

La quarta domenica di Avvento è come una terrazza dalla quale affacciarsi per cogliere l’evento stupendo del compiersi della salvezza: non la pioggia rumorosa di una perturbazione, ma la rugiada silenziosa, che feconda una terra pronta ad accogliere il seme della grazia creatrice. L’antifona di ingresso può ispirare questa lettura sintetica della celebrazione odierna.

Rorate coeli desuper, et nubes pluant iustum: aperiatur terra, et germinet Salvatorem dice il testo di Isaia 45,8, sottolineando l’azione creatrice di Dio nel mistero dell’Incarnazione che scende dall’alto, così come si rivela nell’Annunciazione. La redenzione ha inizio in quell’incontro, una rugiada che scende: “Stillate dall’alto, o cieli, la vostra rugiada e dalle nubi scenda a noi il Giusto: si apra la terra e germogli il Salvatore”.

La creazione ha inizio con quella stessa rugiada che feconda le acque, grembo da cui scaturisce la vita. La creazione germoglia senza l’opera dell’uomo; la redenzione è resa possibile dall’“eccomi” umano di Maria e Giuseppe, così come l’evangelista Matteo ci narra nel Vangelo di oggi. L’annunciazione matteana, diversamente da Luca, sposta l’obiettivo su Giuseppe, l’uomo giusto, custode di Gesù e di Maria.

L’evangelista Matteo scrivendo alle comunità di lingua ebraica che conoscono i testi dell’Antico Testamento, presenta la nascita di Gesù come realizzazione delle profezie di “Colui che deve venire” (Mt 11,3), applicando a Maria il brano di Isaia 7,14: “Ecco, la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele”. Il testo evangelico preciserà che Emmanuele “significa: Dio con noi” (Mt 1,23).

LA PAROLA della Domenica

PRIMA LETTURA
Dal libro del profeta Isaia 7,10-14

SALMO RESPONSORIALE
Salmo 23

SECONDA LETTURA
Dalla Lettera ai Romani 1,1-7

VANGELO
Dal Vangelo secondo Matteo 1,18-24

Il brano inizia in modo narrativo ma repentino, con una sorta di titolo: “Così fu generato Gesù Cristo” (Mt 1,18). Il termine “generazione” usato in questo versetto si collega al verbo “generò” che percorre tutta la genealogia dei primi versetti, e non può non richiamare il termine Genesi, che rimanda agli inizi dell’intervento divino nella creazione.

Il brano per un attimo si sofferma su Maria, su quanto è accaduto dopo l’Annunciazione dell’angelo; poi entra nella vicenda di Giuseppe, che diventerà il personaggio principale della scena. Con poche righe il testo fa emergere l’inquietudine di Giuseppe: la sua promessa sposa, che non aveva fatto ancora il suo ingresso nella sua casa, attende un bambino. Il matrimonio ebraico considerava valido il vincolo matrimoniale, con tutte le conseguenze, fin dalla promessa, in attesa dell’ingresso della sposa in casa dello sposo.

È interessante l’atteggiamento di Giuseppe. Molti commenti descrivono questo turbamento, io vorrei introdurre questa chiave di lettura: Giuseppe di trova di fronte a un fatto, il figlio che Maria porta nel grembo non è suo… ma può Maria averlo tradito?

I fatti e la Legge producono delle conseguenze, e la successione prevede la denuncia e la pena. Non c’è spazio per l’azione di Dio in questa successione consequenziale. Giuseppe però si fida di Maria, ne conosce la rettitudine, si apre a un’altra possibilità. E dentro questo spazio di intimità, l’uomo giusto attende un segno, che arriva in sogno: gli parla “un angelo del Signore” (un altro, non Gabriele).

Alcuni studiosi fanno coincidere questa locuzione con l’intervento diretto di Dio: la Paternità divina conforta colui che sarà padre secondo la legge. Infatti, grazie a Giuseppe, Gesù entrerà nella discendenza davidica. Giuseppe darà il nome, lui ne sarà il custode, e il suo insegnamento forgerà l’umanità di Gesù. È grazie a questa paternità umana, nella casa di Nazareth, che Gesù saprà esercitare una “paternità” a immagine della paternità divina. Il segno atteso da Giuseppe, forse invocato più volte nella fede, esprime il totale abbandono alla volontà di Dio.

Il re Acaz, nel rispetto della Legge, non chiese un segno (Is 7,11), come dice Deuteronomio 6,16: “Non tenterete JHWH vostro Dio”. Ma quello di Acaz era rispetto della Legge, o incapacità di fidarsi del “Legislatore”, che è ben più della legge?

“È sua infatti la terra e quanto contiene… egli otterrà benedizione dal Signore”: il Salmo 23 può essere applicato alla fede di Giuseppe, che sa distinguere la legge, che passa, dalla fedeltà del Signore, che rimane per sempre. I fatti successivi dimostreranno che, al “segno” divino, Acaz preferisce le sicurezze umane, confidando nelle alleanze militari.

Chi invoca continuamente la legge rischia di farne un idolo, perché non lascia spazio alla creatività di Dio. Solo la fede sa riconoscere la Sua novità, e proverà a rispondere con qualche “balbettio”; ma il Signore può fare risuonare quel balbettio nell’eternità.

Don Andrea Rossi