Corpus Domini. Il primo ostensorio siamo noi

L’anno liturgico presenta dopo il tempo pasquale, in successione, tre solennità del Signore: la santissima Trinità, il santissimo Corpo e Sangue di Cristo e il sacratissimo Cuore di Gesù.

Questo percorso liturgico sembra essere un approfondimento del mistero di Dio: dalla sua complessità della identità trinitaria, resa possibile dalla relazione d’amore, alla semplicità della devozione popolare.

Percorso liturgico sul ‘mistero’ di Dio

Un percorso che narra la storia di Dio con l’umanità attraverso le grandi teofanie dell’Antico Testamento, fino alla familiarità della cena pasquale, che il Corpus Domini amplifica. Un corpo donato e un sangue versato, che è esplicitato nella crocifissione, fino all’apertura del costato di Cristo con la lancia, che fa diventare il cuore di Gesù sorgente della Chiesa e dei sacramenti.

La devozione eucaristica e al Sacro Cuore consentono a tutti di rielaborare il mistero dell’amore trinitario, nella concretezza della vita donata di Gesù. La celebrazione del Corpus Domini, in stretta relazione con il Giovedì santo, è un vero e proprio approfondimento del mistero eucaristico – infatti, prima dello spostamento delle feste religiose alla domenica, veniva celebrato il giovedì.

Il riferimento al sangue

I testi biblici della liturgia di quest’anno “grondano sangue”, quale mezzo per suggellare un’alleanza tra Dio e Uomo che non avrà fine.

A questo fine ultimo rimandano le preghiere della celebrazione, in particolare quella del post Communio: “Donaci, o Signore, di godere pienamente della tua vita divina nel convito eterno, che ci hai fatto pregustare in questo sacramento del tuo Corpo e del tuo Sangue”.

Nel testo dell’Esodo, prima lettura, Mosè incarica alcuni giovani di offrire olocausti attraverso il sacrificio di giovenchi. Il sangue verrà raccolto in catini e una prima metà sparso sull’altare. Il popolo si impegnerà attraverso un giuramento a osservare le parole del Signore, e a suggellare questo impegno sarà ancora il sangue: l’altra metà verrà aspersa sul popolo (Es 24,5-8).

La Pasqua dell’Agnello

Il testo evangelico narra la cena di Pasqua avvenuta il primo giorno degli azzimi, sottolinea l’evangelista Marco; il quale ci ricorda che è il giorno in cui gli ebrei immolavano la Pasqua, attraverso l’uccisione degli agnelli (14,12).

Ma in questa cena pasquale il vero agnello immolato è il Signore Gesù: “Prendete, questo è il mio corpo. Poi prese un calice e disse loro: ‘Questo è il mio sangue dell’alleanza che è versato per molti’” (vv. 22-24). Il brano della seconda lettura sembra essere un vero commento teologico ai testi precedenti.

L’autore della Lettera agli Ebrei identifica Cristo come il vero sommo sacerdote (9,11). L’alleanza che stipula attraverso il suo sangue, e non con quello di capri e vitelli (v. 14), è un’alleanza nuova (v. 15), non più soggetta al tempo. Il Cristo infatti – ci ricorda il testo – è sacerdote dei beni futuri.

Un tempio fatto di carne

Il tempio non è più quello fatto di pietre, il luogo del sacrificio non è più l’altare. Ora la figura di sacerdote, vittima e altare è attualizzata contestualmente in Cristo. Ce lo ricorda la preghiera liturgica di dedicazione di un nuovo altare: “Infine Cristo nel mistero della sua Pasqua compì tutti i segni antichi; salendo sull’albero della croce, sacerdote e vittima, si offrì a te, o Padre, in oblazione pura per distruggere i peccati del mondo e stabilire con te l’alleanza nuova ed eterna” (dalla liturgia di dedicazione).

La forza di questo mistero è comunicata a quanti si accostano al corpo e sangue di Cristo. A questa “sorgente di grazia” si attinge la virtù del martirio, come ricorda il prefazio della liturgia della stessa dedicazione dell’altare: “Alle sorgenti di Cristo, pietra spirituale, attingiamo il dono del tuo Spirito per essere anche noi altare santo e offerta viva a te gradita”.

Questa preghiera trova la sua realizzazione in quell’Ite, missa est con il quale il sacerdote congeda il popolo celebrante, perché il vero culto gradito a Dio si realizzi in una vita degna di ciò che abbiamo celebrato.

La celebrazione è per la vita, come la Chiesa è per il mondo.

Eucarestia … per la vita del mondo

La processione eucaristica, che abitualmente segue alla messa del Corpus Domini, acquista il suo vero significato quando la nostra vita diviene un “ostensorio” del Vangelo e realizza il testo delle Beatitudini.

Il cammino per le vie dei nostri paesi, anche quest’anno, non sarà possibile: a esso si sostituisca il pellegrinaggio interiore nell’adorazione eucaristica, dove le fatiche della nostra vita, portate davanti al Signore, ci “distraggano” però da quella “riposante contemplazione” in cui rischia di non trovare spazio il volto del fratello.