Così ‘ambrosiano’ così umbro tra noi

Un libro scritto a molte mani ricorda la figura di mons. Cesare Pagani a venti anni dalla morte

Venti anni fa, il 12 marzo 1988, moriva mons. Cesare Pagani, arcivescovo di Perugia. Era nato nel 1921; divenuto sacerdote nel 1944, fu ordinato dal card. Schuster nel duomo di Milano. Consacrato vescovo di Città di Castello e Gubbio nel 1972, e nel 1981 arcivescovo di Perugia – Città della Pieve. Lo ricorda un libro di recente pubblicazione, che porta il titolo: Cesare Pagani. La passione e il coraggio. È stato curato dal gruppo ‘Amici ambrosiani di mons. Cesare Pagani’, e edito dalla cooperativa culturale ‘In Dialogo’ di Milano (www.indialogo.it). Il volume, di 176 pagine, con alcune pagine di foto di documentazione, è nato ‘dai ricordi e dal cuore degli amici di don Cesare Pagani’ che ‘a vent’anni dalla morte desiderano presentare la sua figura di prete ambrosiano divenuto poi vescovo’, come scrive Dora Castenetto nella Nota editoriale. È un libro diverso, particolare, scritto a molte mani, da quella di Papa Montini a quella dei cardinali Tettamanzi e Antonelli, di vescovi come Bottaccioli, Giachetti, Quadri, Bonicelli. Ci siamo anche noi di Città di Castello, di Gubbio e di Perugia, sacerdoti come Veschini, Salciarini, Bistoni, Peri, Banetta, Baldi, Magnoni, Bromuri. Laici impegnati come Elvira Bauleo, Pier Giorgio Lignani, Stefano Cusco, Franco Volpini e le testimonianze compiute di Stefano Bravi e di Simonetta Cesarini, ed inoltre quella di vari fedeli che l’hanno conosciuto o di collaboratori nei suoi vari ambiti e periodi di ministero. Ne esce una figura viva, vigorosa, intensa, che lascia un segno anche solo a leggere qualche suo intervento scritto o orale. Tra tutte, evidentemente, emerge la testimonianza dell’ultima ora di vita raccontata dal suo segretario, don Alberto Veschini, che riportiamo qui sotto (tratta dalle pagg. 132-133). LE ULTIME PAROLE: ‘È ora’ e ‘Vi benedico’ L’11 marzo 1988 un gravissimo infarto colse, verso le ore 20, mons. Cesare Pagani. ‘Subito ricoverato e soccorso da tutto il personale medico, ebbe qualche ora di lieve ripresa: il tempo di vivere fino in fondo la realtà anche di quel momento. ‘Che dici, Alberto? – chiese al segretario – è arrivato il momento della partenza?”. Continua don Alberto: ‘Poi la crisi finale. I medici hanno ricominciato a fare i vari interventi che prima erano stati provvidenziali. Dopo un po’ però si è visto che servivano a poco. Allora ha detto: ‘Siamo arrivati. È ora di partire, di tornare a casa, alla Casa del Padre’. Poi ha cominciato a benedire e a salutare tutti, uno ad uno, stringendoci le mani. ‘Vi ringrazio per quanto avete fatto per me. Il Signore vi ricompensi e benedica le vostre famiglie. Voi mi rappresentate tutto il mondo della medicina. Vorrei ringraziare, tramite vostro, tutti quelli che curano i malati’. Al medico che più l’aveva seguito: ‘Sono in debito con lei, dottore. Le ho fatto trascurare la famiglia. Il Signore la ricompensi’. Allora la commozione ha preso un po’ tutti: alcuni piangevano. L’arcivescovo ci ha invitato a non farlo: ‘Sursum corda!’, diceva, ‘Allegria, il Signore è vicino’ e accompagnava queste parole con il gesto di battere le mani. Lo ha fatto due volte, pur avendo una delle mani piena di aghi infilati per la fleboclisi. E per tirarci su scherzava: ‘Eccoli, questi uomini, sembrano tanto forti e invece sono le donne a darci lezione’. Poi ha detto ai medici che facevano ogni tentativo: ‘Basta! È ora di partire!’. Io insistevo che li lasciasse fare: ‘È la loro professione!’. Allora accettava, anche se continuava a dire ‘Andiamo!’. A questo punto gli ho proposto di ricevere il sacramento dell’unzione dei malati. Mi ha detto subito di sì. Ci siamo messi a pregare insieme. Lui rispondeva a tutto e partecipava con fede. Poi si è rivolto a tutti: ‘Voi mi rappresentate tutta la diocesi. Vi raccomando l’unità tra tutti. Amatevi tra tutti come ora fate intorno a me’. Intanto le forze calavano. Il respiro sempre più difficile. Trovava però la forza di dire: ‘Arrivederci! Buona notte! Andiamo … !’. Ha ripetuto più volte queste ultime parole. Quando si è capito che la fine era vicina, abbiamo cercato di stargli più vicino possibile e di aiutarlo con la preghiera in questo ultimo passaggio. Recitavamo insieme, tutti, alcune preghiere. Si vedeva che lui le seguiva. All’Ave Maria mi è parso che il suo viso si illuminasse’.

AUTORE: E. B.