Cultura: se investi “1” ti torna indietro “10”

Intervista al direttore regionale per i Beni culturali dell’Umbria, Francesco Scoppola
Francesco Scoppola

La cultura, malgrado la crisi, tiene. Al momento non è stato ancora fatto un bilancio definitivo dell’anno in corso sugli ingressi nei musei, monumenti e aree archeologiche statali della regione, anche se un calo, rispetto al 2011, sembra esserci. In confronto al resto d’Italia “la situazione umbra in merito all’attrattività culturale è comunque buona – spiega il direttore regionale per i Beni culturali dell’Umbria Francesco Scoppola – se non ottima almeno in alcuni periodi dell’anno. Tutti gli operatori e le Amministrazioni sono interessate ai grandi numeri, che va bene, ma dovremmo essere interessati anche alla qualità della nostra offerta. Non mi interessa più di tanto se in un museo, per esempio, vanno 10 o 100 persone, ma se il visitatore è rimasto soddisfatto, perché in questo caso si ferma anche per vedere il posto, magari più giorni, ci ritorna, lo consiglia ad altri. Questa è una cosa che nei musei non viene sufficientemente considerata. Certo i tagli si fanno sentire, di anno in anno i fondi a disposizione si sono sempre più assottigliati, ma il fabbisogno è in aumento”.

Quale potrebbe essere la ricetta giusta, in tempi di recessione?

“A differenza di quanto si può pensare, non bisogna necessariamente tagliare gli investimenti, così come non è sbagliato spendere. Bisogna distinguere tra risparmio di una spesa e rinuncia all’investimento, capire se si tratta di spese che rappresentano un lusso o investimenti per il futuro. Un recente studio della Bocconi ha dimostrato che, se lo Stato investe 1 in cultura, da quel sacrificio di tutti ritorna alla collettività un beneficio da 10 a 12 volte superiore. Non ritorna direttamente allo Stato, o al museo – tra l’altro nessun museo è a pareggio – ma alla collettività, all’indotto. E questo perché siamo un Paese con una straordinaria densità e qualità di beni culturali, per cui vale la pena investire in questo settore. Quello che è difficile far capire è che la cultura non è una spesa ma, in un momento di crisi, è soprattutto un’opportunità. Inoltre, riducendo anche radicalmente i finanziamenti nel settore, non si risparmierebbe che lo 0,22 per cento del bilancio totale, una percentuale infinitesimale che non aiuterebbe comunque a modificare la situazione economica del Paese”.

In Francia e in Germania, Paesi dove il patrimonio artistico è inferiore al nostro, si investe molto di più in cultura che in Italia, il numero dei turisti risente meno della flessione rispetto all’andamento di quelli che arrivano nel nostro Paese.

“La Francia per il museo del Louvre investe quanto investiamo noi in tutta Italia per la cultura. Si tratta sempre di cifre irrisorie rispetto a quelle destinate ad esempio alla Difesa o alla Sanità, ma sono comunque cospicue. La Francia e la Germania hanno a che fare con musei molto grandi e aree meno densamente popolate delle nostre, e hanno maggiori risorse di noi. In proporzione, l’Italia è più popolata e ha a che fare con una densità di carico turistico maggiore. Non si possono fare paragoni. Noi comunque motivi di soddisfazione li abbiamo già. L’Umbria ha una grande attrattiva dalla quale dobbiamo partire: in media arrivano 7 milioni di turisti l’anno (di cui 6 milioni si fermano o almeno passano ad Assisi), numeri che la equiparano al British Museum di Londra. È un polo d’attrazione altissimo, ma la visita è più diffusa, meno congestionata. Il nostro Paese, e l’Umbria a maggior ragione, non ha le caratteristiche per vincere sulle quantità assolute. Ma chi riparte dall’Umbria è in genere prevalentemente soddisfatto”.

Qual è la situazione dei beni culturali in Umbria?

“Buona, anche se le riduzioni dei finanziamenti si fanno sentire. Come spese per il funzionamento degli uffici e dei servizi periferici del Ministero, siamo già all’osso: soprattutto in Umbria, per alcuni profili sono anni che non ci sono più concorsi, non ci sono assunzioni, stiamo invecchiando, e nel giro di quattro o cinque anni la maggior parte di noi andrà in pensione. L’Umbria è una regione piccola, ma con un grande patrimonio che l’Amministrazione cerca di tutelare e valorizzare al meglio. Ad esempio sono stati fatti dei grandi progressi con la chiesa di San Francesco al Prato, che diverrà un auditorium per la città e per la regione. Come Direzione regionale, qualche mese fa abbiamo fatto un accordo con il Comune che ci permetterà, grazie ad ulteriori fondi, di portare avanti un’altra tranche dei lavori di restauro. A Spello la mostra archeologica ‘Aurea Umbria’ sull’epoca di Costantino sta andando molto bene, tanto che è stata prorogata. Molto interessante è la mostra che si sta svolgendo in questi giorni a Foligno sulla beata Angela: non si tratta solo di devozione nei confronti di una figura mistica, tra Due e Trecento, ma prima ancora della coraggiosa testimonianza di una donna che ha fatto sentire la sua voce anche a rischio della vita”.

Quali ambiti della cultura dovrebbero essere maggiormente valorizzati nella nostra regione?

“Sicuramente il paesaggio, in particolare quello di pianura e i boschi. La Regione dell’Umbria, assieme ai Ministeri competenti, il nostro e quello dell’Ambiente, sta approntando proprio a questo scopo il Piano paesaggistico regionale. E poi ci sono i ruderi antichi: spesso tendiamo a ricostruirli in modo pesante, nascondendo l’impianto originario con una nuova struttura, così che si perde gran parte del loro carattere storico, oppure si lasciano abbandonati in mezzo alla boscaglia. Dovrebbero invece essere luoghi in cui si indaga il passato e dove si potrebbero condurre degli scavi, per esempio dai giovani delle Università. Per loro potrebbe essere un’opportunità, anche se non immediata, di lavorare su un bene architettonico che con il tempo creerebbe certamente un indotto, quindi turismo, visite, attività. La cultura ci permetterebbe così di far lavorare tanti giovani”.

In un recente incontro che si è svolto a Perugia con alcuni accademici del mondo dell’arte ed esponenti dell’Ammini- strazione comunale perugina si è parlato di cultura in tempi di crisi e di tutela del bene culturale. In particolare della necessità di aprire ai privati.

“L’Umbria è un buon territorio su cui cercare di mettere a segno i modelli virtuosi per uscire dalla crisi. È un territorio privilegiato nel quale si realizzano anche situazioni come l’Arco etrusco, per il cui recupero c’è stato l’investimento di un privato come Cucinelli, un fatto encomiabile, da proporre ad esempio. Ma bisogna stare attenti, nello stesso tempo, e non pensare di poter imboccare solo la strada del soccorso privato, aspettando l’aiuto di qualcuno di buon cuore, perché non è quella la soluzione, se manca la consapevolezza dell’impegno di tutti. La soluzione è tornare a stare attenti a cosa si fa, a certe spese non necessarie. Fare economia sulle parti vitali del nostro Paese, come possono essere la cultura, l’educazione e la sanità, il più delle volte è sbagliato”.

Il personaggio

Francesco Scoppola, architetto, è nato a Roma nel 1952. È arrivato in Umbria cinque anni fa. Ha svolto e svolge attività universitaria, ha lavorato come funzionario della Soprintendenza a Siena, alla Soprintendenza archeologica a Roma. Nel 1992 ha vinto il concorso da dirigente, e come ispettore centrale ha seguito i cantieri del Giubileo fino al 2000. Nel 2001 è diventato soprintendente regionale delle Marche, dall’estate 2004 ha trascorso un anno di esperienza all’estero, da Teheran a Vienna. Nel 2005 è tornato a Roma e nel 2006 è stato nominato direttore regionale del Molise. Nel 2007, in occasione del decennale del terremoto, è giunto in Umbria a ricoprire la carica di direttore regionale.

AUTORE: Manuela Acito

1 COMMENT

  1. Gentile don Elio,
    ho letto l’intervista al direttore Scoppola condividendone parole e concetti, peccato che un esempio di spreco imperdonabile è proprio il suo ufficio: la Direzione Regionale dei Beni Culturali è stata un’invenzione del Ministro Veltroni di fine anni ’90 (una veltronata), per sistemare nuove pletore di dirigenti e impiegati. Prima infatti c’erano solo le Sovrintendenze che in verità già bastavano, anzi, ora l’iter burocratico è per forza aumentato. Non che la destra al governo si sia comportata meglio, ha creato enti o aziende per le quali ora è obbligatorio passare per l’approvazione e finanziamento di qualsiasi progetto. Ovviamente non ce n’era alcun bisogno. E’ così che, parassitismo dopo parassitismo, l’Italia muore sotto il peso della burocrazia e dello statalismo, che per forza di cose costano un oceano di soldi (tasse).
    Luigi arch Fressoia, 27 dic 2012

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