Distretti industriali in Umbria: chi li vuole e chi no

In regione presentati due progetti di legge e stanziati 250mila Euro

L’Umbria può attivare distretti industriali o lo stesso territorio regionale rappresenta un unico, indistinto, distretto industriale? L’interrogativo può apparire legittimo sulla base delle numerose prese di posizioni che da tempo si susseguono su questo tema a livello regionale. Divide l’Api (l’associazione delle piccole e medie imprese) dalla Confindustria. Ma “unisce” nella volontà di riempire il vuoto legislativo sui distretti industriali il gruppo di Rifondazione Comunista in Consiglio regionale (Stefano Vinti, Giorgio Bonaduce e Mauro Tippolotti) e la Casa delle Libertà (firmatari Fiammetta Modena di Fi, Pietro Laffranco e Andrea Lignani Marchesani di An e Enrico Sebastiani, Udc), che hanno presentato due disegni di legge. E nella finanziaria regionale del 2003 è passato un emendamento che stanzia 250mila euro proprio per i distretti. Un passo avanti in questa direzione? L’assessore alle attività produttive, Ada Girolamini, preferisce non commentare. Vinti ha messo in rilievo il fatto come la proposta di legge regionale per la promozione dei distretti industriali, elaborata dal suo partito, sia stata fatta propria dall’assemblea umbra in occasione del recente voto sul bilancio 2003. “L’ente locale assume funzioni nuove di governo dell’ economia – ha detto – in un quadro di partecipazione del territorio e delle imprese”. Lo stesso Vinti ha dato atto alla maggioranza di centro sinistra ed alle sue componenti di “aver saputo valutare con lungimiranza il valore della proposta”, ora all’esame della commissione regionale. E Vinti ritiene “giusto affiancare al patto per lo sviluppo dell’Umbria uno strumento legislativo che, come la proposta sui distretti, coniuga le esigenze di crescita economica con uno scenario socio-produttivo adatto a valorizzare le peculiarità del patrimonio locale”. Ma la Casa delle Libertà rivendica la primogenitura della proposta di legge presentata sul tema nel giugno del 2002 e ha criticato l’approvazione dell’emendamento votato dalla maggioranza. “Stupisce davvero che questa maggioranza, pur in presenza di una proposta del centro destra che chiedeva di spostare un milione di euro sulla finanziaria umbra per far partire la legge sui distretti industriali, abbia preferito presentare un emendamento proprio e votarselo”, aveva sottolineato Fiammetta Modena (Fi). Insomma la partita dei distretti industriali è tutta da giocare. Spesso si punta sulla differenza tra distretto e filiera (cioè il patto tra territori per promuovere un prodotto). In Umbria non c’è spazio per un distretto, sostiene il direttore della Cna, Francesco Lombardi, ricordando che la tipologia d’impresa del nostro territorio – quella diffusa – non corrisponde a quella del distretto industriale e che crea false aspettative negli imprenditori. L’esperienza di Toscana, Emilia Romagna e Marche è positiva con un buon livello di competitività di alcuni distretti industriali, anche in un momento difficile per l’economia. Il distretto industriale può rappresentare una scommessa valida per il futuro. L’unico rischio sembra quello di non decidere. E.Q.I distretti industriali nella regione: cosa sono e quantiI distretti industriali sono aree caratterizzate dalla concentrazione di piccole e medie imprese e dalla specializzazione produttiva di sistemi di impresa. Per l’Umbria si pensa soprattutto ad alcune realtà produttive come Marsciano, Città di Castello, Umbertide, Assisi e Gualdo Tadino. Complessivamente 23 comuni umbri su 92 sono definiti appartenenti a distretti industriali, non solo ai cinque umbri ma anche ad altri. Come Citerna e San Giustino che appartengono al ditretto di San Sepolcro, e Otricoli che appartiene al distretto di Civita Castellana. Di fatto a Marsciano (dove è forte la presenza di piccole imprese legate alla metalmeccanica e all’rredamento), pur in assenza di una norma regionale, il distretto industriale, iscritto al ‘Club nazionale dei distretti’ per l’rredamento, è una importante realtà che ha portato a migliorare il tessuto economico e sociale fornendo servizi essenziali alle aziende. Secondo i due progetti presentati in Regione i parametri devono tener conto del rapporto tra presenza di imprese e abitanti superiore del 10 per cento alla media regionale. Inoltre il livello di specializzazione produttiva dell’nsieme di imprese, in rapporto al totale degli addetti al settore manifatturiero prevalente, deve essere superiore del 10 per cento alla media regionale del settore stesso. Per i distretti industriali i progetti interessano, tra l’ltro, la creazione di centri per l’nnovazione imprenditoriale e per i servizi alle imprese e di ricerca delle nuove tecnologie e dei nuovi materiali, lo sviluppo delle attività di compatibilità e salvaguardia ambientale, la creazione reti informatiche distrettuali in grado di favorire la cooperazione interna ed esterna tra imprese e con gli enti locali e la pubblica amministrazione, interventi in aree industriali dismesse o in crisi, studi di mercato e promozione dell’ttività di vendita e sviluppo dell’mmagine. Mentre in Umbria è aspro il dibattito sull’pportunità di individuare e definire i distretti industriali, il presidente nazionale del Club dei distretti, Adriano Sartor, in una intervista al Sole 24Ore ha parlato di “modello da cambiare” per i distretti industriali. E quindi sarebbe uno strumento già superato ancora prima che l’mbria, tranne il caso di Marsciano, si prepari a questa eventualità?

AUTORE: E.Q.