Egitto. Tante piccole gocce diventano semi di pace nel mondo

Il Cairo, una città di 10 milioni di abitanti, 18 con l’area metropolitana. Nelle strade caotiche le auto nuove e lucide dei benestanti si contendono la strada con vecchie auto che in Italia non potrebbero neppure circolare, e sfiorano i marciapiedi attraversando quartieri dove la vita misera dei più poveri si svolge accanto ai grandi alberghi che ospitano i turisti dell’antico Egitto.

È la città delle grandi contraddizioni, volto di un Paese di più di 100 milioni di abitanti che sale alla ribalta della nostra informazione solo quando ci sono fatti di sangue. Eppure c’è una vita che sorprende.

Come quella dei cristiani che in mezzo a mille difficoltà e con lo Stato che ha messo l’esercito a protezione delle loro chiese, continuano a vivere la loro fede e a testimoniarla nel lavoro con i musulmani e a beneficio anche dei musulmani (la miseria non fa distinzioni).

Tutte le realtà che abbiamo visitato sono così: cristiani e musulmani insieme, anche quando le opere (scuole, ospedale o centri di accoglienza) sono delle Chiese locali. Nel caos di una vita quotidiana difficile, l’Egitto ci ha mostrato quanto sia reale, concreta e positiva la collaborazione per il bene delle persone.

Lo abbiamo visto dai padri Comboniani che come tutti gli africani “neri” sono chiamati in senso dispregiativo “Sammara”, che significa cioccolato. Ma padre Jonh Richard Kyankaaga, il provinciale di Egitto (17 religiosi sparsi in tutto il Paese), ha saputo conquistarsi il rispetto degli egiziani, per lui e per i rifugiati sudanesi e sud sudanesi che nei suoi centri hanno la possibilità di andare a scuola.

Nell’ospedale (una piccola struttura dotata di sala operatoria) di Port Said come nel dispensario de Il Cairo lavorano medici e infermieri cristiani e musulmani, così come nessuna distinzione viene fatta tra i malati.

Il vescovo della Chiesa copto cattolica di Ismailia mons. Makarios Tewfik, ci ha accolti nella sua sede vescovile con un buon caffé italiano e tipici dolci arabi in una sala che ha al centro un quadro ad intarsio, con un campanile e un minareto uniti sotto il nome di Dio, dono di una giornata di incontro tra famiglie cristiane e musulmane. In chiesa i bambini fanno catechismo e nel piccolo chiostro le madri studiano la Bibbia.

Gli attacchi contro i cristiani sono una minaccia reale ma forse ancor più lo è “il progressivo allontanamento dei giovani dai valori evangelici e tradizionali trasmessi dalla famiglia”, perché anche in Egitto i giovani hanno accesso al mondo attraverso il loro cellulare. Nei villaggi più poveri dell’Alto Egitto dal 1940 opera una delle prime ong egiziane, Aueed, l’associazione dell’Alto Egitto per l’educazione e lo sviluppo, fondata dal padre gesuita Henry Ayrout.

Con l’aiuto della Cei, l’ong ha avviato nelle sue 35 scuole nel sud del Paese un programma di istruzione formale che ha raggiunto lo scorso anno 12.500 alunni. Non solo bambini tra i banchi ma anche le donne. Analfabete, senza una mestiere in mano e abbandonate dal marito, ritrovano speranza per loro e per i loro figli quando imparano a leggere e un lavoro. Tutto quello che abbiamo visto sono gocce in un mare di bisogno ma anche semi di pace.

Maria Rita Valli