Giovanni Paolo II nel cuore della gente

Il 2 aprile è stato il giorno in cui il mondo ha ricordato la morte di Giovanni Paolo II. Avevamo pensato di scrivere sulle vicende italiane, ma la figura di papa Wojtyla, ha prevalso ed ha catturato ancora la nostra attenzione. Ripercorrere la sua vita è per noi impossibile. L’hanno fatto in modo ampio e ben riuscito l’Osservatore Romano e Avvenire. D’altra parte egli ha vissuto sempre sotto lo sguardo del mondo,coram populo, anche nelle sue debolezze fisiche della malattia e della vecchiaia, come, all’inizio del pontificato, nelle sue scelte fuori schema, la piscina, la montagna. Sono trascorsi tre anni dalla sua scomparsa, la sua figura è ancora scolpita nella memoria di milioni di persone in tutto il mondo. Chi poi ha avuto l’occasione di incontrarlo personalmente, oltre alla figura esteriore conserva le sensazioni che suscitava per una specie di energia vitale e spirituale insieme che comunicava. Papa Ratzinger, che è un intellettuale e non un sentimentale, ha detto che bastava guardarlo quando pregava per intuire la sua spiritualità che andava oltre il limite umano. Questo pensa anche chi lo ha incontrato personalmente e gli ha potuto stringere la mano. Quello che possiamo dire, nella nostra più diretta esperienza, come umbri, è il grande amore che ha dimostrato per la nostra terra. Se pensiamo che ha ritenuto necessario, per essere maggiormente legittimato a fare il vescovo di Roma, lui polacco, di fare un bagno di italianità recandosi ad Assisi, alla tomba di san Francesco, Patrono d’Italia, riconosciamo il grande onore che ci ha fatto. Egli aveva un’altissima considerazione di Francesco d’Assisi, perché è il santo più italiano che ci sia, che in volgare ha cantato le lodi a Dio di tutte le creature con slancio mistico e poetico, e per la sua spiritualità che indotto il Papa a scegliere Assisi come una capitale spirituale di tutti coloro che cercano la pace. Negli anni del suo pontificato ha fatto molti pellegrinaggi pastorali in Umbria (12), che hanno lasciato segni indelebili nelle città visitate. La più importante di queste visite è quella del primo grande incontro di preghiera delle religioni universali per la pace del 27 ottobre 1986. In quella famosa icona che ha fatto il giro del mondo ed è stata appesa sulle pareti dei luoghi più impensati e lontani, egli appare in mezzo ai rappresentanti delle altre confessioni cristiane e delle religioni. In quella posizione sembra esprimere, a nostro avviso, un doppio anelito: quello di abbracciare tutti e quello di stare al centro. Non lui, Wojtyla, ma lui pastore universale, testimone e annunciatore di Cristo. La sua bandiera era il Crocifisso che agitava in benedizione sulle folle. Ad un cristianesimo affievolito e attenuato, situato ai margini delle vicende del mondo, che indietreggia o avanza in punta di piedi, egli si pone al centro e grida di non avere paura e di guardare a Colui che conosce il cuore dell’uomo e può salvarlo (Redemptor hominis). Non lo ha fatto con arroganza da scontro di civiltà, ma nello stile dell’amicizia e della fraternità. Si è posto in dialogo con tutti perseguendo con tenacia la riconciliazione tra gli uomini e i popoli. Egli, dopo l’incontro di Assisi, ha detto che l’unità è divina e la divisione è umana. Era per questo contro ogni guerra. Considerava di poter concorrere a realizzare l’unità della famiglia umana già ora attraverso la preghiera e la ricerca della pace camminando tutti insieme come pellegrini verso l’orizzonte della speranza.

AUTORE: Elio Bromuri