Giustizia incerta

Si è concluso in questi giorni, con una sentenza definitiva di condanna, il processo per l’omicidio di Garlasco. Come nel caso del delitto di Perugia (dove però il processo si era concluso con l’assoluzione) l’opinione pubblica è rimasta sconcertata per la lunga durata delle indagini e del processo (otto anni), per l’altalena di sentenze (cinque), e perché, nonostante tutto questo lavorìo, i dubbi di fondo rimangono. Fa sensazione una Giustizia che contraddice continuamente se stessa. Tutto vero. Ma bisogna dire che le incertezze della Giustizia sono solo l’effetto perverso del fatto che il sistema giudiziario italiano è (sotto molti punti di vista) il più garantista del mondo. Il che non vuol dire affatto che assicuri risultati più giusti, ma solo che offre alle parti le possibilità di difesa più ampie. Il ping-pong fra una Corte e l’altra c’è perché il sistema consente a chi ha perso di chiedere la rivincita, e poi di nuovo quasi all’infinito, sia in penale che in civile. Siamo disposti a rinunciare a questo sistema? Certamente non sono disposti gli avvocati, che fanno cinque processi invece di uno (e non a caso in Italia gli avvocati sono quattro volte tanto che in Francia, in rapporto alla popolazione). Ma non sono disposti a rinunciarci nemmeno i cittadini, o almeno quelli che pensano che una volta o l’altra potrebbe toccare solo a loro. Di più, in Italia la legge vuole che per ogni causa i giudici mettano per iscritto la spiegazione delle loro decisioni, anche per centinaia di pagine; e su ogni riga che hanno scritto (o che non hanno scritto) si può trovare un motivo per fare ricorso. In America, le giurie assolvono e condannano (anche a morte) senza dover spendere una parola di spiegazione, chi è condannato in primo grado va in galera subito e anche se ha diritto di fare appello il sistema non gli garantisce che il suo appello verrà deciso. Conclusione: vale sempre il principio che non si può avere la botte piena e la moglie ubriaca. Se vuoi una giustizia garantista sino all’estremo, devi accettare che i processi durino una vita e che la sentenza finale, quando arriva, arrivi tanto tardi da non avere più senso.

AUTORE: Pier Giorgio Lignani