Gualdo Tadino: le reazioni al terribile fatto di sangue

Sconcerto e disorientamento in città

Aveva sconcertato tutti il sostituto procuratore Gabriele Paci quando, nella conferenza stampa tenutasi pochi giorni dopo il grave fatto di sangue avvenuto a Gualdo Tadino nel giorno di Natale, aveva accusato non solo la comunità albanese ma anche i cittadini gualdesi di “omertà” e scarsa collaborazione con le indagini. Sembrava strano, infatti, che solamente pochi potessero fornire informazioni sulla fine di Alfred Gega, ucciso brutalmente a coltellate e colpi di spranga davanti all’affollato locale della stazione ferroviaria, mentre il suo collega, Clirim Dedusci, ferito e sanguinante, riusciva a dileguarsi fra alte urla, scampando alla morte. Alle accuse aveva replicato subito il sindaco Rolando Pinacoli, che aveva sottolineato, nella conferenza di fine anno, che più che di “omertà” bisognava parlare di “sconcerto”, di assoluta impreparazione ad affrontare fatti di inaudita violenza come questi. Insomma: come non considerare la paura per un omicidio commesso brutalmente (“Lo hanno ammazzato come un animale: a bastonate!” dicevano)? Un silenzio dei gualdesi, insomma, teso ad “esorcizzare” un fatto di sangue inconcepibile per una piccola realtà come Gualdo. Non omertoso. Ma l’altra impressione, che emerge ascoltando i pochi, sommessi commenti della gente, è che proprio il profondo inserimento di Alfred Gega abbia, in un certo senso determinato una certa riservatezza degli abitanti della città, che hanno sentito la tragedia di una donna e due figli appena ragazzi lasciati soli come la loro personale tragedia. Del resto, proprio il Sindaco ha più volte ripetuto, su ogni mezzo di informazione, che bisognava mettere in evidenza più che il singolo delitto, il buon grado di integrazione della comunità albanese a Gualdo Tadino. E’ l’eterna storia – in fondo – dello schianto dell’unico albero che copre il brusio di una foresta che cresce in silenzio. Più che parlare dei presunti loschi traffici del defunto, dunque, tutti ne hanno dipinto – come sempre si fa con chi ci lascia – i lati positivi: la sua simpatia, la sua forza, la sua capacità di raccontare aneddoti e barzellette. Il suo essere un “gualdese” come tanti altri, insomma. Dei due figli, la più piccola dei quali frequentante il primo anno del liceo scientifico “Casimiri”, molti mettono in rilievo la scelta coraggiosa di continuare gli studi, cosa non comune nella comunità albanese, dove spesso il diploma di scuola dell’obbligo segna immediatamente l’inizio dell’attività lavorativa, dopo l’anno obbligatorio di rito in un istituto professionale. Gega era, del resto, residente a Gualdo sin dal 1991: era stato uno dei primi a giungere in una città, che ora conta un buon 3% di residenti di nazionalità albanese, un terzo dei quali di religione cattolica e quindi ancora maggiormente integrati nella realtà sociale. Che poi non pochi sapessero che il Gega, oltre al suo regolare impiego da muratore, doveva occuparsi di qualcos’altro per poter ostentare un tenore di vita tutt’altro che misero, è innegabile. Ma qui l’atteggiamento è duplice: da un lato, visto che dei morti non si dice mai male, si tende a sottovalutare il ruolo del Gega nella malavita organizzata. Dall’altro ad esagerare: ed allora si ascoltano discorsi da bar del tipo: “La mafia albanese impera”, “I commercianti gualdesi pagano il pizzo alle cosche albanesi”. Gli inquirenti che si sono aggirati in città fino a qualche giorno fa (Digos in testa) hanno, del resto, destato altrettanto sconcerto: “Ma che sta succedendo, così all’improvviso?” E che il caso sia stato definito “chiuso” (“regolamento di conti fra cosche mafiose”) non è certo motivo di sollievo per una città dove ancora si lasciano le chiavi sulla porta di casa. Almeno fino al giorno di Natale.

AUTORE: Pierluigi Gioia