I 150 anni dell’Unità d’Italia

L’editoriale

Nel 1961 era un’altra cosa: l’Italia che si apprestava a celebrare cento anni di unità era in grande crescita. Si era in pieno “baby boom”: un ottimismo sostanziale percorreva gli italiani, proprio anche nella consapevolezza che tanto c’era da fare per vincere la povertà, per continuare ad unificare il Paese, che serviva tanto, duro lavoro. Oggi lo spirito collettivo è ben diverso: tira aria, non solo in Italia, di “decrescita”. Il Risorgimento non è più studiato, molti personaggi sono estranei ad una larga parte degli italiani. Nel corso della “crisi di fine secolo”, dei primi anni Novanta, l’unità stessa è stata messa fortemente in discussione, non dal Sud, ma dal Nord. Gli italiani stessi hanno un profilo nuovo: nascono molti meno bambini, cresce rapidamente la presenza di immigrati. Cosa significa allora oggi, o più esattamente tra un anno, il 17 marzo 2011, celebrare i centocinquant’anni dell’unità? Mentre si discute sulla stessa opportunità di promuovere solenni celebrazioni, il presidente della Repubblica è intervenuto il 12 febbraio con un ampio discorso all’Accademia dei Lincei. Tre punti meritano di essere annotati, come spunti di discussione e, nello stesso tempo, di impegno civico, lungo quest’anno preparatorio. Il primo a proposito delle forme dell’unità: “Oggi assistiamo – ha detto Napolitano – ad un fenomeno inverso a quello del Risorgimento, e sempre anch’esso irresistibile, verso le autonomie locali”. Quel che conta è impostare bene il tema: se l’unificazione per accentramento è stata una necessità imposta dalle molteplici emergenze, la Costituzione ha indicato una strada di sviluppo istituzionale diversa, ancora da attuare fino in fondo. Recuperare gli slanci “federalisti” dei primi patrioti significa impegnarsi nel senso della sussidiarietà, della solidarietà e della responsabilità. Si può crescere solo se ciascuna realtà è capace di iniziativa. Il secondo tema è connesso: molte fratture dell’unificazione si sono ricomposte, a partire da quella tra Stato-Chiesa. Resta quella tra Nord e Sud; occorre – e da questo punto di vista attendiamo l’imminente documento dei vescovi italiani – farsene carico in modo nuovo. La mancata soluzione della “questione meridionale” è dovuta infatti ad un agglutinamento di interessi apparentemente contradditori che storicamente lucrano sui problemi, invece di affrontarli e risolverli. Ecco, allora, il terzo tema: “Di queste sfide è bene avere una visione non provinciale”. Il quadro è ormai quello europeo e mondiale. In esso si compete non con meno, ma con una maggiore e più chiara consapevolezza dell’identità nazionale. Per quanto concerne l’Italia, è chiaro che questa è precedente lo Stato e in questo senso può contribuire non solo alla riforma dello Stato, ma anche alla costruzione di una governance sovra-statale. E allora serve investire in cultura, in ricerca, in dibattito alto e serio, senza nulla concedere alle polemiche facili e alle seduzioni dei media. Solo così l’anniversario può essere un’occasione e dare frutti.

AUTORE: Francesco Bonini