I carcerati aspettano gente che sa ascoltare

L’Associazione perugina di volontariato organizza un corso di formazione per volontari che faranno un servizio nelle carceri

“La responsabilità penale è personale. L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Non è ammessa la pena di morte, se non nei casi previsti dalle leggi militari di guerra”. L’articolo 27 della Costituzione italiana esplicita bene anche quello che dev’essere lo spirito con cui un volontario si avvicina al carcere. Ed è una delle prime cose che Feliciano Ballarani, ha spiegato ai 40 aspiranti volontari che si sono presentati al corso di formazione “Ero carcerato e mi avete visitato”, promosso dall’Associazione perugina di volontariato, e che è iniziato nel corso di questa settimana. Perché promuovere un corso di volontariato rivolto specificatamente all’ambiente carcerario? “La principale motivazione è che siamo talmente pochi che si è cominciata a sentire l’esigenza di incrementare il numero di volontari, perché attualmente siamo 5 persone a fare visita ai detenuti, che a Perugia sono 500. Non possiamo occuparci di tutti, anche se effettivamente non siamo la sola associazione di volontariato. Un’altra circostanza che ci ha stimolato è stata la visita nel periodo pasquale di alcuni frati francescani che hanno trascinato un bel gruppo di persone dall’esterno, che poi si sono appassionate alla cosa e ci hanno chiesto di potersi avvicinare al mondo del volontariato con i mezzi adeguati. Oggi siamo qui ad iniziare questa avventura, sperando di formare un bel gruppo in modo da coprire ogni richiesta che ci viene fatta dai carcerati”. Vista la sua esperienza ultra-ventennale come volontario nel carcere, umanamente come affronta tutto questo?“Non è un’esperienza facile: trovarsi lì dentro è un’emozione forte. Specialmente la prima volta l’impatto non è semplice perché, quando varchi il cancello e la guardia lo chiude dietro di te, senti il tintinnio delle chiavi nel chiavistello e questo ti fa provare un senso di ‘prigionia’. Poi, continuando ad andare, pian piano le cose si superano. Dall’esterno uno pensa che un detenuto sia chissà chi, un animale feroce, mentre standogli vicino la realtà è un’altra cosa. Sono persone come noi, persone che hanno sbagliato che però si possono redimere, possono riconoscere i propri errori e rientrare nella società in una maniera diversa. Queste persone hanno necessità di avere qualcuno vicino, che li guidi, che faccia capire loro che gli errori fanno parte del passato e che si può vivere tranquillamente senza commettere reati. La maggior parte sono persone giovani, tossicodipendenti che non hanno più la famiglia, ed è questo il grande motivo di instabilità che provano all’interno del carcere”. E come li aiutate? “A prescindere dall’aiuto spirituale che ricevono dai religiosi, noi li sosteniamo dal punto di vista morale e nel reinserimento nella società. Cerchiamo di porci in modo naturale con loro, senza oltrepassare quel limite che spesso i carcerati pongono prima di confidarsi, perché devono potersi fidare di chi hanno di fronte. Dal canto nostro ci mettiamo all’ascolto, non chiediamo mai nulla della loro storia, non vogliamo invadere la loro sfera personale. Normalmente sono loro che fanno richiesta di incontrarci e noi ci mettiamo a loro disposizione. Spesso ci chiedono qualche spicciolo per comprare le sigarette, degli indumenti o il detersivo, ci frughiamo nelle tasche e li accontentiamo per quanto ci è possibile, ma la cosa che li rende più sereni è la possibilità di parlare e confrontarsi con qualcuno. Quando ci vedono arrivare il loro cuore si allarga: si possono sfogare della loro situazione o ricordare la loro famiglia lontana, i loro affetti”. Che consigli darà durante il corso? “Il volontario che si affaccia sulla strada del carcere deve avere una grossa forza interiore, sia a livello spirituale che umanitario, perché è un’esperienza difficile da affrontare, bisogna essere ben consapevoli. E soprattutto non si può varcare la soglia del carcere pensando che chi è lì ha sbagliato, deve pagare e sta bene dove sta. Noi lavoriamo con la struttura penitenziaria, sempre con la speranza di recuperare qualcuno. Quella dev’essere la nostra missione”. Immagino che le sia capitato di vedere qualcuno che, uscito dal carcere, si è rifatto una vita…“Sì, spesso capita. E quando riusciamo a salvare una persona per noi è una conquista. Non sono molti, ma anche fosse solo uno, è importante. Con diverse persone sono tuttora in contatto; ora che si sono formati una famiglia e hanno un lavoro ci sentiamo per Natale e Pasqua, ci scambiamo gli auguri. Non è vero che è tutto negativo, qualcosa di positivo viene, bisogna credere in ciò che si fa”. COS’È LA APV Contro ogni disagioL’Associazione perugina di volontariato (Apv), promossa dalla Caritas, conta 218 associati e svolge l’attività in ambito sociale e sanitario. I volontari sono presenti sia presso strutture di accoglienza e di cura che a domicilio. Il servizio è rivolto alle persone che vivono situazioni di bisogno: solitudine, malattia, disagio, emarginazione. L’Apv è attenta alle necessità della persona, non sostituendosi agli operatori, ma integrandoli con attività prevalentemente in ambito relazionale e in appoggio per servizi, commissioni, e comunque rivolta ai bisogni primari della persona.

AUTORE: Elena Pescucci