I cattolici e la Grande guerra

I Guerra mondiale. Partirono per il fronte 24 mila ecclesiastici (tra preti, seminaristi e religiosi), 2500 furono i cappellani militari
Da sinistra don Bruno Bignami, Alessandro Campi, Giuliano Masciarri
Da sinistra don Bruno Bignami, Alessandro Campi, Giuliano Masciarri

Il 1 agosto 1917 Papa Benedetto XV in una Nota ai capi dei popoli belligeranti definì la “l’inutile strage”. A tre anni dall’inizio del conflitto aveva tentato di esortare i capi dei paesi in guerra a cercare una pace giusta e duratura. È partito da qui, dall’appello del Papa, l’incontro tenuto da don Bruno Bignami, presidente della Fondazione “Don Primo Mazzolari”, docente di teologia e sacerdote della diocesi di Cremona, alla sala delle Colonne della Fondazione Cassa di risparmio di Perugia – il cui tema era “La Chiesa in trincea. I cattolici e la Grande guerra”.

Un incontro, il quinto, che si inserisce nella serie di appuntamenti di approfondimento promossi dalla Fondazione Cariperugia Arte a corredo della mostra in corso a Palazzo Baldeschi a Perugia su “La prima Guerra mondiale e l’Umbria”. Erano presenti il segretario della Fondazione Cassa di risparmio di Perugia Giuliano Masciarri e Alessandro Campi, Università di Perugia.

Sul tema al centro dell’incontro don Bignami ha scritto di recente un volume dal titolo La Chiesa in trincea. I preti nella grande guerra (Salerno editore). “Il rapporto tra i cattolici e la guerra fu molto complesso – ha spiegato don Bignami – e bisogna leggerlo nel contesto di quei tempi, in un momento in cui c’era una Chiesa che combatteva contro la modernità, in un mondo che stava cambiando”. La guerra distrugge, uccide, divide gli uomini tra loro e perfino gli uomini credenti. Si usano armi dalle conseguenze terribili, “ma in molti uomini di fede – ha proseguito don Bignami – s’insinuò l’idea secondo cui per difendere la patria la guerra fosse il giusto mezzo, che fosse giusta a determinate condizioni, per cui la Chiesa si allineò per senso del dovere con lo Stato italiano”.

Ed è in questo contesto che si inserisce la Nota di Benedetto XV, una nota inascoltata, come le precedenti, sia da parte dei Governi belligeranti, che della Chiesa e dei vescovi degli Stati. “Fu un appello che suscitò grande nervosismo e una ‘tempesta d’ire’ – prosegue don Bignami- ‘il Papa si è messo contro di noi’ fu una delle reazioni che si lessero nei giornali”. La guerra stava segnando anche la vita della Chiesa, che in quegli anni stava vivendo un travaglio burrascoso in particolare su due fronti: “il fallimento del teorema della guerra giusta – spiega Bignami – e la crisi di molti ecclesiastici che parteciparono alla guerra mettendo in discussione il rapporto tra la Chiesa e il mondo.

In un contesto di nazionalismo diffuso e di ideologia della patria, tipico della modernità, ogni Chiesa nazionale leggeva la realtà con gli occhi della sua parte, per cui finiva così per giustificare qualsiasi ricorso alle armi per difendere il proprio popolo”. I preti in parrocchia perlopiù erano allineati con Benedetto XV, “perché vedevano la sofferenza delle famiglie, la fame, mentre la presenza dei preti in mezzo all’esercito testimoniavano la fedeltà della Chiesa alla patria”. Partirono per la guerra 24 mila ecclesiastici (tra preti, seminaristi e religiosi), 2500 furono i cappellani militari. Un ruolo, quest’ultimo reintrodotto dal generale Cadorna. Furono perlopiù impiegati nei reparti sanitari o negli ospedali da campo. “Molti di loro erano novizi, chierici o seminaristi che non avevano mai visto il Nord e le Alpi, chiusi all’interno dei loro seminari per cui – ha proseguito – davanti a loro si apriva un mondo del tutto nuovo”.

Don Bignami ha poi fatto una carrellata di sacerdoti che sono partiti per il fronte come don Annibale Carletti, il prete che si distinse per la conquista del passo Buole, don Achille Beltrame, don Piantelli, don Costantini (poi cardinale) e il futuro Papa Roncalli. Anche don Primo Mazzolari (cappellano) passò da un’iniziale idea interventista al pacifismo. Don Bignami ha ricordato anche i tanti che, conclusa la guerra, non ripresero il ministero. Eclatante il caso della città di Messina dove nessun seminarista dopo il conflitto volle continuare gli studi. Molti compresero che erano in atto trasformazioni irreversibili nel rapporto tra la Chiesa e il mondo. Il Concilio Vaticano II farà maturare definitivamente questa riflessione nella celebre costituzione Gaudium et spes.

 

AUTORE: Manuela Acito