I martiri non tramontano mai

L’editoriale

L’hanno trovato morto nella sua camera, ucciso con due colpi di pistola, uno in faccia e uno in testa. Era ancora inginocchiato accanto al letto con il capo appoggiato sul cuscino. Probabilmente l’hanno costretto ad inginocchiarsi oppure si è inginocchiato sotto il peso della paura e dell’angoscia per raccomandare l’anima a Dio. Hanno detto, quelli che sono accorsi, di averlo trovato in atteggiamento come di preghiera nella fissità della morte. Si chiamava don Ruggero Ruvoletto, 52 anni, nato in un paese della diocesi di Padova. Aveva fatto la scelta di andare missionario fidei donum, cioè temporaneo – si direbbe in prestito – come dono motivato dalla comune fede da una diocesi ad un’altra, per dieci anni, in Brasile, a Manaus, capitale dell’Amazzonia, una città di due milioni di abitanti, sollecitato dal vescovo del luogo che aveva chiesto aiuto alla diocesi di Padova. Il fatto di cronaca, appena comparso sulla stampa, è classificato tra le notizie di cronaca nera, considerato un delitto consumato da feroci malviventi e pertanto opera di ordinaria delinquenza. In realtà informazioni successive vanno insinuando che si sia trattato di una vera e propria esecuzione contro un personaggio scomodo. La città, infatti è ad alto tasso di delinquenza organizzata per traffico di droga e di esseri umani, e don Ruvoletto, che tutti chiamavano padre Rogerio, era lì per annunciare il Vangelo, celebrare i sacramenti della Chiesa e per promuovere la giustizia e la pace nella società, che è compito di cui ogni cristiano, e tanto più un missionario, si sente responsabile. Non era andato là per gioco o per divertimento o per interesse economico, ma solo per predicare la salvezza di Cristo e l’emancipazione dei poveri dall’oppressione e dallo sfruttamento. Noi, a questa persona e queste persone presenti in ogni angolo anche sperduto della Terra, nelle zone calde del mondo, dobbiamo dare il nome che meritano: martiri. Muoiono, anche se uccisi da malviventi o da balordi, da drogati o da sciagurati, per aver accettato di donare la vita ad una causa, quella di Cristo, della Chiesa e dei poveri. I cristiani che guardano comodi la televisione che distribuisce pacchi più o meno vuoti al suono dell’Alleluja del Messia di Haendel (un sacrilegio che sta sulla coscienza della Rai, se ne ha una!), non dovrebbero dimenticare che sono membri di una comunità segnata dalla gloria del martirio, sempre, comunque, oltre che gloria, sacrificio e morte. Questa presa di coscienza dovrebbe consentire ad alcuni cerberi censori, sempre pronti a scagliare fango sulla Chiesa, cui pure appartengono per grazia ed eredità, di avere un’opinione più vera e serena. Nei giorni scorsi Lucetta Scaraffia ha trattato del martirio delle donne nell’ambito della Sagra musicale umbra dedicata alla martire santa Cecilia, patrona della musica. Ha affermato che le donne martiri cristiane sono l’espressione della emancipazione della donna nella storia cristiana. È infatti un titolo di onore e il riconoscimento di una grandezza di spirito che non ha eguali: non c’è amore più grande di chi dà la vita per un amico, per la giustizia, e per la causa del Vangelo.

AUTORE: Elio Bromuri