I poveri? Li si abbraccia

Mons. Bartoli del Ceis ricorda don Mario Picchi a un mese dalla morte

Quasi un mese fa – era il 29 maggio – moriva don Mario Picchi, fondatore e presidente del Ceis – Centro italiano di solidarietà di Roma. Il Signore lo ha chiamato a sé alla vigilia degli 80 anni, spesi completamente a servizio delle persone più emarginate e fragili della società. Nato a Pavia, cresciuto e formatosi a Tortona, dove è stato vice parroco a Pontecurone, paese natale di don Orione, nel 1967 arriva a Roma come cappellano del lavoro presso la Pontificia opera di assistenza. Nella Capitale è stato accanto ai ferrovieri e ai loro figli. Sempre attento ai problemi delle nuove generazioni, negli anni ’70 si rende conto che la tossicodipendenza è una necessità impellente dalla quale non poter più fuggire. L’avvio del Centro di solidarietà non è stato facile: l’Italia non era pronta ad affrontare la questione, non c’era una legge, le uniche risposte al tossicodipendente erano il carcere e il manicomio. In Paolo VI trova un grande aiuto. Papa Montini gli offre un appartamento di proprietà del Vaticano nei pressi di largo Argentina. Inizia così un nuovo modo di affrontare la questione della tossicodipendenza. Don Mario e i suoi collaboratori fanno capire che l’attenzione deve essere posta sulla persona e non sulle droghe, che è necessario un ripensamento di valori, ritrovare la voglia di vivere, riscoprire un cammino interiore.

E questo è ciò che fanno i Centri di solidarietà che in Italia si sono ispirati a quello fondato da don Picchi a Roma. Tra questi anche quello di Spoleto e di Città di Castello. Mons. Eugenio Bartoli, presidente del Centro della città del Festival, ricorda così il sacerdote. “Di don Mario ho un ricordo bellissimo che risale ai primi anni di vita del Ceis di Spoleto. Don Guerrino Rota (il prete spoletino chiamato dall’arcivescovo Alberti ad interessarsi della piaga droga; morto nel 1989, ndr) mi inviò a Roma per un corso di formazione sulle tossicodipendenze. Conobbi don Picchi, persona squisita, di grande umanità e apertura mentale. Senza queste doti non avrebbe potuto elaborare questo progetto. Eravamo in quattro: io, don Giacomo Stinghi, oggi presidente del Ceis di Firenze, la dott.ssa Pierdomenica Marini, oggi responsabile del Sert di Spoleto, e lo psicologo Antonello Sica, oggi sacerdote e psicoterapeuta”. “Don Mario – prosegue – era un punto di riferimento nei momenti di sconforto, di paura, di non farcela nel diventare operatore di comunità terapeutiche. Per noi era un fratello, un compagno di strada, un padre. Ora siamo tutti un po’ più poveri, siamo tutti più soli. Don Mario non era un prete della strada, non prete di frontiera, era semplicemente un prete… un prete che ha fatto dell’incontro con i poveri, dell’attenzione, dell’accoglienza, della solidarietà la profezia autentica del Vangelo. Lui amava ripetere che i ‘poveri non si contano, ma si abbracciano’. Era consapevole che da solo non riusciva a contrastare il fenomeno droga, e allora alcuni Centri di solidarietà – quello di Roma, il nostro di Spoleto, quello di Lucca, di Firenze e di Napoli – hanno dato vita alla Federazione italiana comunità terapeutiche (Fict). Fare rete era necessario per dare risposte concrete ai poveri che incontravamo, per trasformare in testate d’angolo le pietre scartate dalla società, per ridare speranza a persone disperate”.

“Mi piace concludere con le parole finali del documento base della nostra Federazione: ‘E quando scenderemo dal nostro treno, dovremo farlo senza il rimorso di essere fuggiti davanti al dolore, e con la sicurezza che altri abbiano appreso, anche dal nostro esempio e dalla nostra testimonianza, a sedere al nostro posto’. Don Mario è sceso dal treno. Ha lasciato tanti uomini e tante donne pronti a riprendere la corsa, perché la sofferenza non aspetta e la battaglia per l’uomo non conosce tregua”.

AUTORE: Francesco Carlini