17/01/2015 – “Cristo non può essere diviso!”. È affidato alle parole di san Paolo nella Prima lettera ai Corinzi il tema della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, in programma dal 18 al 25 gennaio. Un’iniziativa internazionale che si rinnova ogni anno per favorire il dialogo, la collaborazione e l’unione nella comunità cristiana. Con un valore aggiunto per l’Umbria: la Settimana di preghiera 2014 è, infatti, la prima a essere organizzata dal Consiglio delle Chiese cristiane (Ccc) di Perugia, costituitosi ufficialmente alcuni mesi fa con la firma dello Statuto da parte delle comunità cattolica, ortodossa romena, ortodossa russa, evangelica valdese, e degli avventisti del Settimo giorno. Questo Consiglio di Chiese per ora si riferisce solo alla diocesi di Perugia – Città della Pieve.
Ma qual è il significato della Settimana di preghiera? Quali i passi avanti fatti negli anni e, al contempo, le difficoltà ancora da superare? Lo abbiamo chiesto a mons. Elio Bromuri, direttore dell’Ufficio diocesano per l’ecumenismo e il dialogo e del Centro ecumenico e universitario San Martino, e già docente di Ecumenismo e dialogo interreligioso all’Ita e direttore della rivista ecumenica Una città per il dialogo, di cui è uscito in questi giorni il n. 93, nonché autore di un volume dell’ed. Ancora sul quale si sono formate generazioni di studenti.
Come nasce e perché la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani?
“Questa ricorrenza ha più di un secolo. Nacque infatti intorno al 1910 per volontà della comunità missionaria protestante. Proprio nei luoghi in cui il cristianesimo veniva predicato a popoli di altre religioni, si sentì maggiormente il peso delle divisioni interne alla comunità cristiana e la difficoltà di portare il messaggio di Gesù Cristo, Figlio di Dio e unico Salvatore del mondo, punto fermo che accomuna tutte le Chiese cristiane. Nel corso dei decenni, la Settimana di preghiera ha subìto cambiamenti; attualmente, ogni anno viene scelto un tema e preparato un sussidio unitario da parte di una Chiesa del mondo”.
Per la nostra regione, questa Settimana assume un valore aggiunto in quanto organizzata per la prima volta dal Consiglio delle Chiese cristiane, il cui Statuto è nato, tra l’altro, per sua iniziativa. Qual è il compito del Ccc?
“Il Consiglio è nato dalla volontà dei nostri fratelli protestanti e ortodossi di non essere più dei semplici ‘invitati’ alle varie iniziative ecumeniche, ma di esserne promotori, organizzatori e protagonisti. È nato dalla comune esigenza di trovarsi faccia a faccia con pari titolo e pari responsabilità. Compito principale del Ccc è quello di favorire la conoscenza e il dialogo tra le Chiese cristiane dell’Umbria. Ad oggi sono cinque le comunità che hanno aderito, tutte realtà con cui il dialogo era già aperto da anni. Ma il numero può ovviamente ampliarsi”.
In merito a questo ultimo aspetto, come mai le altre comunità cristiane presenti in Umbria non hanno aderito al Consiglio o, comunque, non desiderano dialogare?
“Ci sono atteggiamenti diversi rispetto al tema dell’ecumenismo. Alcune comunità cristiane sono completamente contrarie. Si tratta, soprattutto, di realtà piuttosto rigide nella lettura della Bibbia e molto critiche nei confronti del mondo cattolico. In genere, sono comunità piccole e molto libere, cioè prive di una lunga tradizione storica, che trovano nelle loro consuetudini religiose un collante e un motivo di unione molto forte, il senso del loro essere minoranza che si ‘contrappone’ alla maggioranza cattolica, accusata di eccessivo rilassamento religioso. Altre comunità, invece, sono semplicemente indifferenti o poco sensibili al tema dell’ecumenismo, non lo percepiscono come una priorità”.
In una regione come l’Umbria, il tema dell’ecumenismo è attuale?
“Assolutamente sì, l’Umbria è una regione molto ricca di comunità cristiane, e Perugia una città dove il pluralismo religioso è realtà ormai da decenni. La presenza dell’Università per Stranieri ha da sempre portato nel capoluogo umbro giovani credenti di tante confessioni religiose diverse. È proprio all’Università per Stranieri, quando insegnavo Storia religiosa, che ho sperimentato concretamente e quotidianamente il pluralismo religioso e il dialogo tra persone provenienti da tutto il mondo. Ma il tema dell’ecumenismo è fondamentale per tutti i cristiani. La divisione è di ostacolo all’evangelizzazione, per questo è vitale riconciliarsi. L’unità è un elemento di forza, mentre la divisione produce ateismo e fuga dalle Chiese”.
Secondo lei, i fedeli percepiscono tutto questo? E la Chiesa cattolica è sulla strada giusta nel cammino per realizzare l’unità dei battezzati?
“Nonostante sia di grande attualità, il tema dell’ecumenismo non è molto sentito dai fedeli, e spesso è oggetto di confusione. L’ecumenismo, infatti, è l’unità fra tutti i battezzati, che riconoscono la base del proprio credo nella figura di Gesù Cristo, Figlio di Dio e unico Salvatore del mondo. Non va quindi confuso con il dialogo con le altre religioni. Da parte sua, la Chiesa cattolica ha rallentato il proprio impegno su questo versante. L’entusiasmo che era seguito al Concilio Vaticano II si è raffreddato nel tempo a causa delle difficoltà incontrate. Si credeva che sarebbe stato un cammino più facile, mentre, ad oggi, ci sono ancora punti quasi insormontabili da superare. Nelle parrocchie, inoltre, l’unità delle Chiese cristiane è un tema che è passato in secondo piano, dietro le urgenze del quotidiano e gli interventi da attuare nell’immediato”.