Il dramma dell’aborto tra scelta e via obbligata

Testimonianza sui dilemmi interiori di fronte ad una gravidanza indesiderata e su ciò che resta 'dentro' dopo l'aborto

L’aborto è un dramma. Tutti lo riconoscono, anche chi lo difende come conquista delle donne. Eppure di questo dramma si parla poco tra la gente, sui mezzi di comunicazione, nelle sedi politiche e scientifiche. Sembra quasi un problema lontano, così intimo e personale da non meritare supplemento di indagine. Capire se e come, e in che misura la gravidanza è sostenuta o contrastata da chi è vicino alla donna sarebbe molto interessante. Si potrebbe scoprire che, come è accaduto ad una amica, l’arrivo di due gemelli, dopo il primo figlio più che congratulazioni e auguri porta domande angosciose del tipo ‘saranno normali’, ‘come farai con tre’, ‘ma chi te lo fa fare’ e via di peggio. Ha passato giorni angosciosi e deprimenti, e era fortunata perché aveva il sostegno e l’amore del marito. Le due testimonianze che abbiamo raccolto vogliono semplicemente aprire una finestra, allargare gli orizzonti. Nell’auspicio che si possa un giorno parlare dell’aborto a partire dalla concreta esperienza delle persone. Maria Rita Valli”Non lo dimenticherò mai”. Sono passati vent’anni, vita normale, serena, con lavoro, casa, marito e cane. Non ha più voluto figli. Era giovane, ultimo anno di liceo, un fidanzato, la contestazione del ’68 ed una famiglia, un padre, al quale non poteva confessare di essere rimasta incinta. Il ragazzo l’ha lasciata libera “è una tua scelta, se vuoi possiamo anche sposarci”. Forse non era molto convincente perché lei non vedeva altra via d’uscita che evitare quella maternità non desiderata. “Non giudicate su base ideologica o religiosa” chiede oggi. Ovvero, non date condanne senza appello. Accetta di raccontare la sua esperienza perché le ho chiesto di dirci cosa vive una donna quando arriva a sopprimere la vita che sta iniziando in lei. Sa solo che in quei giorni non aveva altra scelta. Era ancora aborto clandestino. Andò da un medico che li praticava nel quartiere ricco della città. Studio medico dentistico, c’era scritto sulla porta. Nella squallida sala d’aspetto altre donne di ogni età. Poi la visita “mi sentivo carne da macello”. Ha pagato e se n’è andata, accompagnata da un’amica. Poi viene a sapere di donne dei circoli femministi che lottano per legalizzare l’aborto, e nel frattempo lo praticano gratuitamente ed in condizioni umane più dignitose. Prende l’appuntamento e va. Mentre le parole cercano di esprimere quei momenti scendono lacrime silenziose che più delle parole dicono di quel dolore profondo vissuto quel giorno e rimasto per sempre. Non ha parole per esprimere ciò che ha vissuto. In quel momento pensavi che stavi per sopprimere una vita? “Pensavo solo al momento, che non dovevo star male dopo”. “Sapevo che quello che veniva chiamato grumo di cellule altro non sarebbe stato che un figlio. Lui non le sta vicino, non cerca neppure di capire cosa sta vivendo”ma gli uomini sono così”. Poi la vita è proseguita come se niente fosse, è proseguita la relazione con lui, ha iniziato l’università. Quel dramma non l’abbandonava mai. “Sentivo di aver fatto un peccato, sentivo di doverlo confessare a Dio”.Anche se non andava in chiesa da anni quel peso che la opprime la conduce al confessionale.Dopo quattro anni trova il coraggio di dire ad un prete cosa aveva fatto. Si sente accolta e parla e poi ascolta ed infine va, sollevata, rinnovata. Pochi mesi dopo è di nuovo incinta, sempre con lo stesso ragazzo. Questa volta prova rabbia e delusione, si sente come ingannata e abbandonata da Dio. Decide di non tenere neppure questo bambino e va, questa volta in ospedale, nello stesso squallore e clima di disprezzo che aveva conosciuto nello “studio dentistico”, perché nel frattempo è stata approvata la 194. Qualcosa si è rotto in lei, per sempre. Poi sposerà quel ragazzo, ma decide che non avrà figli. Il matrimonio non tiene, si separano. Anni fa ad una amica che voleva abortire ha potuto dire: la scelta è tua, ma sappi che è molto doloroso, è una scelta che è meglio non fare. Consiglio accolto. E le piace pensare che la sua esperienza abbia aiutato un’altra donna a rifiutare l’aborto. “Auguro a nessuno di trovarsi in questa situazione, ma non si deve tornare alla clandestinità”. M.R.V.Difficile tenere il figlio anche per chi lo vuoleE’ una ragazza allegra, guarda alla vita con ottimismo, e le voci dei figli, la più grande di cinque anni e il piccolo di sette mesi, rallegrano la casa assegnatale, temporaneamente, dal Comune. Giovanna (nome di fantasia) non ha neppure pensato all’aborto, quando è rimasta incinta per la seconda volta. I consigli degli ‘amici’ e familiari però erano così pressanti che l’avevano convinta che non c’erano altre strade. Lei ama il padre dei suoi figli, spera che cambi. “Ora vuole vedere i figli, lo vedo cambiato, è più tranquillo” dice, con speranza. Lui, che avrebbe voluto costringerla ad abortire entrambe le volte. Ma chi conosce la coppia, anche l’assistente sociale, sa quante volte lui l’ha anche picchiata.Per questo quando Giovanna resta incinta per la seconda volta la incitano a disfarsi di questo figlio. Come farai, sei sola non puoi farcela, pensa se ti viene malto, devi fare l’amniocentesi e così via. E intanto le chiudevano la porta in faccia. Anche sua madre, anche la sua migliore amica. “Mi sentivo intrappolata in una rete”.Ha ritrovato la forza e “l’incoscienza” di tenere il figlio nonostante tutto un giorno che si era rifugiata in una chiesa per piangere e per pregare. Lì ha incontrato una suora laica che l’ha ascoltata, le ha mostrato uno scritto di Madre Teresa. Parole di sostegno, di comprensione e di conferma nel suo desiderio di tenere quel figlio. Non aveva bisogno d’altro che di essere sostenuta in quel momento difficile. Si è quindi rivolta al Centro di aiuto alla vita che già la’aveva aiutata per ,la prima gravidanza.Adesso tutti l’ammirano per ciò che ha fatto, per come riesce a vivere con poco.Al momento non lavora, vive con la casa e il sussidio del comune (190 euro al mese), asilo e nido gratuiti, a volte buoni spesa dell’assistenza sociale, pannolini e pappe per il piccolo in farmacia, e il contributo (150 euro al mese) del Progetto Gemma. Appena il piccolo starà al nido Giovanna potrà lavorare ed essere autonoma. I soldi non sono un problema, dice, “la ricchezza non serve per decidersi a tenere i figli quanto un sostegno morale”. E di questo è grata alla suora e ala Movimento per la vita.”Se avessi abortito, oggi sarei a piangere in un angolino, non me lo sarei mai perdonato”. Invece è felice perché da quando è nato il piccolo sembra che tutto va meglio. Una felicità contagiosa: delle amiche hanno smesso di prendere la pillola e sperano in una gravidanza. Per lei è una piccola soddisfazione, un personale contributo alla vita.

AUTORE: M.R.V.