Il Papa a Bush

Non sappiamo cosa il Papa abbia detto a Bush. Potremmo anche immaginarlo ripensando alle tantissime dichiarazioni e prese di posizione di Giovanni Paolo II e il suo costante insegnamento dalla sua cattedra romana. Il Papa non ha mancato di esprimersi sulla situazione del mondo, sulla pace, sullo sviluppo, sulla fame, sul terrorismo e le sue cause, sulla guerra, sui valori che possono fondare una diversa composizione degli scenari mondiali. Il mondo visto da Roma non è esattamente lo stesso visto da Washington, gli occhi del Vaticano non guardano nella stessa direzione degli occhi della Casa Bianca. Così pure la posizione e la formazione del Papa, il suo interesse, non sono omologhi con quelli degli Usa. In più occasioni si è manifestato anche un dissenso aperto su scelte concrete come è stato per la guerra nel Golfo e con l’ultima in Iraq. E tuttavia non siamo dispiaciuti, come altri, che il Papa abbia accolto e parlato con Bush. Sono due personaggi che in qualche modo la Provvidenza, per chi vi crede, l’ha posti ai vertici dell’umanità, l’uno al vertice della potenza economica e militare l’altro al vertice di una potenza morale, religiosa e spirituale. Il riconoscimento di questa diversa doppia leadership, realisticamente, è un dato certo. Ed è anche positivo che i due s’incontrino, non per ricordare i famosi fatti Canossa, e dare ulteriore prestigio al Papa di Roma e al Cattolicesimo, cose da Medioevo non riproponibili se non in una prospettiva teocratica che non abita più dalle nostre parti, ma per riproporre una gerarchia di valori e una visione del mondo, in cui si riconosca uno spazio alla dimensione dello spirito e si dia voce a chi rappresenta non un interesse nazionale o di parte, ma l’universale richiesta di giustizia e di pace. Che un uomo così potente, che potrebbe fare a meno di andare a riverire un’autorità che non ha armi segrete e divisioni militari, ed accetti, o sia costretto ad accettare per ragioni diplomatiche o elettorali, una visita, sia pure fugace e che lo lascia del tutto libero, in Vaticano e per di più ad un uomo vecchio e malato, non solo gli fa onore, ma è pure un segno che la civiltà non è morta e che il richiamo spirituale ha ancora un senso e un valore riconosciuto. Nessuno dei laicisti italiani penserà che Bush vada dal Papa perché è il capo dello Stato Vaticano. Semmai perché è Capo della Santa Sede, o Sede Apostolica che risiede nel territorio del Vaticano ed è riconosciuta come autorità spirituale di un miliardo e mezzo di fedeli sparsi nel mondo. Una comunità strutturata e organizzata come una grande rete in cui circolano idee, messaggi, azioni di carità, testimonianze di vita, luoghi di incontro e soprattutto uomini e donne, con i loro pregi e difetti, chiamati ad amare e servire il prossimo. Possiamo inoltre avere qualche idea in più del tono del discorso rivolto dal Papa a Bush da quanto ha detto ad un gruppo di vescovi degli Stati Uniti il 28 maggio scorso. Ai vescovi ha detto che la Chiesa negli Stati Uniti deve “rispondere alla sfida della evangelizzazione della cultura”, che in parole povere vuol dire cambiamento di mentalità, educazione, opinione pubblica, stile di vita, perché quella società “corre sempre più il pericolo di dimenticare le sue radici spirituali” e di cedere “a una visione del mondo meramente materialistica e senz’anima”. Parole dure e impietose che stanno alla radice di tanti malanni morali e sociali e non solo degli Stati Uniti.

AUTORE: Elio Bromuri