Il paradosso di Dio presente nella storia

Commento alla liturgia della Domenica a cura di Oscar Battaglia Ascensione del Signore - anno A

Quest’anno la festa dell’Ascensione ci richiama due verità fondamentali del Credo cristiano. In apparenza sembrano contraddittorie, ma in realtà sono complementari: si tratta dell’assenza e della contemporanea presenza di Dio tra noi. L’assenza fa parte della natura stessa di Dio, che non appartiene alle nostre categorie umane, perché le trascende. “Io sono Dio, non un uomo”: diceva il Signore per mezzo del profeta Osea (Os 11,9) a chi voleva coinvolgerlo nella ridda dei sentimenti e delle passioni umane. Lo stesso ripeteva al profeta Isaia in un testo divenuto classico della trascendenza divina: “I miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie. Quanto il cielo sovrasta la terra tanto le mie vie sovrastano le vostre vie, i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri” (Is 55,8-9). Questo comporta spesso lo scandalo del silenzio di Dio davanti alle tragedie e alle sofferenze umane.

Dio vive in una dimensione diversa dalla nostra, per noi inconcepibile. Dio abita nel mistero. Nello stesso tempo però è un Dio vicino, più vicino a noi di noi stessi. Non solo non ignora i nostri problemi e vi partecipa, ma ci ama di un amore inesprimibile, più intenso di quello di un padre. È il Dio con noi. Questa duplice verità è iscritta nella festa di oggi. La prima lettura proviene dal libro degli Atti degli apostoli e narra la partenza di Gesù risorto per il cielo, dopo quaranta giorni di apparizioni. È una partenza definitiva e conclude il tempo delle apparizioni pasquali. Avviene in maniera così naturale e spontanea che i discepoli stentano a rendersene conto. Nessun apparato scenico e nessuna scena di cordiale commiato con abbracci e baci. Gesù sale lentamente in alto, quasi insensibilmente, mentre sta conversando, e viene nascosto da una nube agli sguardi di tutti. Quella nube, segno della presenza divina, sta ad indicare che Gesù è entrato definitivamente, con il suo corpo risorto, nel mondo di Dio, è tornato alla casa del Padre. Non apparirà più agli apostoli e ai discepoli, fino al giorno del suo ritorno alla fine dei tempi.

È tutto qui il significato storico dell’Ascensione. Nel compiere questo suo ultimo atto di vita tra gli uomini, egli si è adattato alla nostra cultura e alla nostra mentalità, che concepisce il cielo di Dio sopra le nubi, per esprimere la sua trascendenza e la sua superiorità sul mondo umano. In realtà il mondo di Dio non è sopra di noi, ma accanto a noi. Ci separa da esso solo una sottile parete invisibile. Se potessimo aprirla, ci troveremmo tutti immersi in esso, perché il paradiso vive accanto e dentro di noi. Siamo come pulcini nell’uovo in attesa che il guscio si schiuda per vivere nella luce e nella libertà vera della vita divina. Al momento della morte non dovremo fare un lungo viaggio per raggiungere il cielo, perché ci ritroveremo già dentro, al cospetto di Dio Padre buono, attesi con amore e trepidazione da chi ci ha preceduto.

Stando così le cose, possiamo capire come la risurrezione di Gesù corrisponda anche alla sua ascensione corporea, al suo ritorno al Padre. Questo fatto chiarisce le prime parole che il Risorto rivolge alla Maddalena: “Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma va’ dai miei fratelli e di’ loro: Io salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro” (Gv 20,17). Era l’eco di quanto Gesù aveva annunciato nell’ultima cena: “Non sia turbato il vostro cuore… Nella casa del Padre mio vi sono molti posti… Io vado a prepararvi un posto, ritornerò… Vado e tornerò a voi. Sono uscito da Padre e sono venuto nel mondo, ora lascio il mondo e vado al Padre” (Gv 14,2-3.28; 16,28). Dopo la risurrezione Gesù non restò sempre visibilmente tra i suoi, come nel tempo che precedette la sua passione e morte. Le sue apparizioni erano improvvise e sporadiche.

Era come se uscisse dal mondo divino, dove era ormai rientrato dopo l’incarnazione, e vi rientrasse con piena libertà di movimento in andata e al ritorno. Il suo corpo era ormai un corpo trasfigurato che conservava tutte le caratteristiche umane che aveva assunto con l’incarnazione, ma che aveva acquisito ormai una dimensione di vita totalmente nuova, quella appunto di Dio. Era tornato in possesso della gloria divina che aveva prima che il mondo fosse (Gv 17,5). Il suo comportamento era adeguato a questa nuova condizione. Questo è il senso teologico dell’Ascensione, che inaugura la presenza-assenza del Figlio di Dio tra noi. In questo nuovo clima va letta la pagina del Vangelo di Matteo oggi proclamata. Essa ci riporta in Galilea dove Gesù aveva promesso ai discepoli di rincontrarli: “Dopo la mia resurrezione, vi precederò in Galilea” (Mt 26,32; 28,7).

Era un appuntamento importante, perché consentiva di rivisitare i luoghi dell’esperienza terrena di Gesù maestro e di reinterpretare alla luce nuova della Pasqua le parole e azioni di quei giorni eroici e decisivi per l’esperienza cristiana futura della Chiesa. Era una specie di ripasso per capire e approfondire la lezione del grande annuncio. Un rilievo importante assume la “montagna” della Galilea dove l’appuntamento è fissato. Per Matteo era il corrispondente di quella montagna dell’Oreb dove Dio aveva donato per primo al popolo da lui salvato la sua rivelazione. La montagnosa Galilea, scelta da Gesù come scenario della sua predicazione, richiamava la catena del Sinai, tanto viva nella memoria giudaica del suo tempo. Del resto aveva detto, proprio sul monte delle beatitudini, di “non esser venuto ad abolire la Legge o i Profeti, ma per dare loro compimento” (Mt 5,17). Così le due montagne si univano in un’unica rivelazione divina.

Ora, prima di salire in cielo, Gesù ripercorreva quei monti carico di tutta la sua gloria divina, prima nascosta dalla sua pur adorabile umanità. Gli apostoli ne rimangono impressionati e si prostrano in adorazione, come avevano fatto i Magi a Betlemme (2,21), anche se fa capolino il dubbio sulla sua nuova presenza così autorevole, che dovette apparir loro eccezionale e inusuale. In quelle terre avevano conosciuto il maestro in ben altre vesti. Gesù comprende la loro perplessità e spiega loro solennemente: “Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra”, ormai non ci sono più limiti di alcun tipo alla mia potenza salvifica; sono l’unico Salvatore del mondo, intronizzato da Dio alla sua destra. Da questo potere universale e illimitato deriva la missione che affida ora agli apostoli. Dovranno continuare l’opera che Gesù aveva compiuta in quella loro terra, dove erano diventati suoi discepoli, ma ampliandone i confini fino all’estremità del mondo.

Ormai tutta l’umanità è campo di Dio da coltivare: “Andate dunque e rendete discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che io vi ho comandato”. La risurrezione di Gesù ha allargato gli spazi della missione. Ormai chiunque diventa discepolo di Gesù, se accoglie il suo insegnamento e viene battezzato nel nome della Trinità. Tutto è garantito dalla presenza permanente e potente di Gesù nella sua Chiesa. L’Ascensione non ha allontanato Gesù dalla sua comunità e dal mondo. Ha creato solo un nuovo modo di presenza, invisibile ma reale, del Figlio di Dio con noi (Mt 1,23): “Io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine del mondo”.

AUTORE: Oscar Battaglia