Il prima e il dopo

Sono passati dieci anni, ma non ci siamo scordati. Ancora oggi ci sembra talvolta di sentire il tremito del suolo sotto i piedi – basta un movimento leggero – e riprovare il brivido sulla schiena come allora. Molti ricordano anche di essere rimasti immobili, come paralizzati per le scale o sotto la doccia, o di essere stati imprudenti scappando di corsa da casa verso una piazza, capitando sotto il cornicione di un palazzo. Poi ci siamo trovati sconvolti ed è iniziata la fase della confusione che non si può descrivere. Da quel preciso momento, però, e ad ogni nuova scossa (non finivano mai) nasceva in ognuno la voglia di fare. All’inizio non si sapeva cosa. Ma alla fine ognuno ha saputo fare qualcosa di buono, nonostante difficoltà e polemiche Ci siamo ritrovati a vedere e rivedere mille volte la grande nuvola di polvere dentro la Basilica superiore di San Francesco, grande segnale di catastrofe che ha spaventato il mondo. Ricordiamo e piangiamo ancora i quattro morti, i due frati, padre Angelo Api e Zdizlaw Browiece, postulante, e due tecnici della Soprintendenza Claudio Bugiantella e Bruno Brunacci. A dieci anni di distanza, ci sono molti modi di ricordare. Qualcuno interviene per continuare la polemica antiregionale. Avrà delle ragioni. Non tutto è perfetto, non tutto è del tutto risolto. Ma forse in queste critiche c’è un di più di politica di schieramento, che è legittimo, ma forse non determinante per una valutazione di tipo storico. Dall’altra parte c’è anche chi pensa soprattutto di celebrare, nel senso di esaltare l’opera compiuta ai vari livelli, di enti e di privati, intendendo brindare alla ritrovata normalità, eliminando dal proprio orizzonte ogni granello di polvere sismica. Anche in questo pur legittimo atteggiamento, c’è un di più di politica e di psicologia, giustificabile da parte di chi ha lavorato sopra le forze ed ora si sente sgravato di un pesante fardello. Ci può essere qua e là anche un ristagno di polemiche di tipo locale e individualistico, che ha il limite del soggettivo. A noi sembra che i dieci anni trascorsi costituiscano una svolta, uno spartiacque, un tempo di forte decisivo rinnovamento. D’ora in avanti ci sarà un prima e un dopo il terremoto per l’Umbria, che non è più la stessa. Sono state infatti realizzate opere che il terremoto ha reso necessarie e nello stesso tempo possibili per le leggi e i finanziamenti statali messi a disposizione. Dato onore al merito di tutti coloro che hanno operato in questi anni, si deve guardare al dato di fatto e su quello costruire il futuro. Dopo la ricostruzione si deve passare alla costruzione. Il terremoto è avvenuto alla fine del secolo. Anche per l’Umbria si è aperta una nuova fase, quella della globalizzazione, della società multi culturale, del dopo 11 settembre, della pseudo moschea di Ponte Felcino. È tempo di guardarsi attorno e voltare pagina, di ricostruire l’anima del territorio, come dicono i vescovi. Ciò non vuol dire rifugiarsi in un evanescente spiritualismo, ma dare vita ad una cultura propositiva concreta atta ad affrontare le sfide del tempo attuale, evitando di cadere nella barbarie del consumismo egoistico e selvaggio, in una società senza pietà né solidarietà. Sarebbe peggio di un terremoto. Per rispondere a queste sfide e dare speranza alle future generazioni, è necessario tenere aperto e consolidare il cantiere che ha dato in questi anni ottimi risultati: quello della solidarietà.

AUTORE: Elio Bromuri