Il referendum nasceva male

Il referendum sul “fine vita” non si farà. La Corte costituzionale ha giudicato inammissibile il quesito, come era prevedibile – anche se chi era favorevole al referendum è caduto dalle nuvole. Lo avevamo scritto: se la proposta avanzata con quel quesito fosse stata approvata, gli effetti sarebbero andati molto al di là di ciò che gli stessi promotori dicevano di volere; ed erano effetti che non potevano essere accettati dal punto di vista costituzionale.

Non è esatto dire che il quesito fosse stato ‘scritto male’; non si poteva scrivere diversamente. La verità è che il referendum di tipo abrogativo – l’unico previsto nella nostra Costituzione – è uno strumento grossolano, è un’accetta dove servirebbe un cesello. Era stato concepito dai costituenti per consentire al voto popolare di abrogare (cioè cancellare) una legge, non di trasformarla in una legge diversa. Poi nella pratica, con una forzatura della norma costituzionale, è stata ammessa anche la “abrogazione selettiva” che consiste nel modificare il senso di una legge cancellandone una parola qui, una frase là. Ma in ogni caso non si può aggiungere neppure una virgola. Quindi il risultato non sempre è ottimale. Immaginatevi una porta chiusa e qualcuno che chiede il diritto di entrare.

Se pensiamo che abbia ragione, la soluzione normale (una nuova legge) è dargli la chiave; la soluzione di ripiego (il referendum abrogativo) è sfondare la porta. Ma se sfondi la porta, poi non entra solo chi aveva buone ragioni per chiederlo, entra anche chi non avresti mai voluto che entrasse. Questa è solo una delle criticità che fa del referendum uno strumento imperfetto e poco utile. A parte questo aspetto, i quesiti, anche se ammissibili, spesso sono di difficile comprensione per la massa degli elettori; e costoro per di più vengono fuorviati da una propaganda tendenziosa e ingannevole.

Infine, anche quando tutto è chiaro, si può votare solo sì o no, senza margini di discussione; e pure questo è un limite. Insomma, la sede migliore per fare le leggi e cambiarle è sempre il Parlamento. Purché chi vi siede ne abbia la volontà e la capacità. Ma la democrazia diretta è un’utopia.