Il tempo delle passioni tristi

Senza risorse le idee anche le più geniali e brillanti rimangono sogni o motivi di frustrazione’. È quanto ha osservato, in un rapido passaggio del suo ampio intervento, il rettore dell’Università per stranieri di Perugia Stefania Giannini mercoledì scorso alla presenza del ministro degli esteri Massimo D’Alema per l’inaugurazione dell’anno accademico. Stava parlando di opportunità e progetti che un tipo di università come questa (in realtà tutte le 94 università italiane) potrebbe realizzare. Si è fatto riferimento ai 52 studenti afghani che hanno frequentato i corsi di lingua, alcuni dei quali si sono trattenuti per studi più specilistici con l’intenzione di riportare in patria la loro felice esperienza di vita. Sarebbe importante realizzare questo tipo di penetrazione culturale nel mondo, soprattutto in alcuni mondi chiusi e refrattari, mettendo a confronto le ricchezze e i valori del nostro patrimonio storico, attraverso scambi culturali seri, improntati al dialogo e al rispetto senza ombra di colonialismo culturale. Su questi temi è intervenuto anche D’Alema, che ha disegnato un quadro della globalizzazione e delle sue sfide che non possono essere eluse e che tuttavia nessuna nazione da sola riesce a controllare e dominare. Sono le sfide della fame, del terrorismo, delle risorse energetiche, del nucleare, del clima e dell’ambiente. Si pensi che il 2% della popolazione possiede la metà della ricchezza mondiale. La maggiore ricchezza globale non ha portato maggiore sicurezza. Ancor oggi 2,6 miliardi di persone vivono con una media di 2 dollari al giorno e 1 miliardo con un solo dollaro. È il lato oscuro della globalizzazione che non ha mantenuto le sue promesse, ed ha provocato anche rigurgiti di nazionalismo e particolarismo, tribalismo e egoismo di gruppo. In questo scenario si hanno anche risvolti psicologici: il tempo di passioni tristi. Per la prima volta si nota che i giovani dei paesi sviluppati sono convinti che il loro futuro sarà peggiore di quello dei loro padri. Solo i giovani dei paesi poveri sono convinti che il loro futuro sarà migliore. Queste cose le ha dette D’Alema nella lectio magistralis, in concordanza con l’esplicitazione dell’esigenza di ricorrere alla cultura, all’esperienza europea, alla diffusione del nostro patrimonio storico che nessuno ha detto ‘cristiano’, ma che noi possiamo dire tale e che era nell’aria, ed è stato a più riprese esplicitato da Ratzinger come ad esempio nel discorso di due anni fa a Subiaco quando ha additato san Benedetto, che ha creato le basi della nostra civiltà, modello di cui il mondo ha bisogno. Questo è anche il discorso dei papi del nostro tempo, senza differenze e contrasti tra loro, tutti unanimemente protesi verso un futuro che veda il superamento dei nazionalismi, delle diseguaglianze, delle sacche di miseria e di fame, di ignoranza e di epidemie. Ed è anche ciò che la Chiesa fa nelle sue azioni di insegnamento diffuso e persistente, convalidato dall’azione di giustizia, pace e solidarietà che i missionari non si sono mai stancati di operare in tutte le parti della terra con un contributo anche di sangue. La parola e il pane, o se meglio si vuole dire, il libro, la croce e l’aratro, i simboli benedettini da riproporre ancora in tutta la loro attualità. Detto questo, è penoso che i nostri politici ci costringano a spendere tempo e risorse per i ‘Dico’.

AUTORE: Elio Bromuri