Il vescovo si racconta

Nella nostra diocesi di Orvieto Todi arriva un nuovo Pastore. Mons. Grandoni, dopo aver dedicato oltre venticinque anni agli oltre 90 mila fedeli sparsi nei 23 comuni della diocesi, lascia la guida della nostra Chiesa locale a mons. Giovanni Scanavino. L’episcopato del vescovo Grandoni si è dispiegato attraverso la difficile prova di unire due territori, che avevano costituito due diverse diocesi, facendone un’unica Chiesa, abbattendo i campanilismi, e portano i laici provenienti da realtà territoriali diversi a collaborare per la stessa causa, edificare il Regno di Dio qui, proprio tra le nostre case, i nostri piccoli paesi, i nostri orgogliosi comuni. Un’opera decisamente impegnativa quella del vescovo! Il nostro intento è allora quello di cercare di far conoscere il nuovo vescovo alla gente in mezzo alla quale si troverà a svolgere il suo servizio episcopale. Monsignore, ci racconti qualcosa della sua infanzia, quando e dove nasce la sua vocazione? ‘La mia vocazione è nata dalla fede di mia madre. Purtroppo il babbo l’ho perso presto, a tre anni. Sono stato letteralmente conquistato dalla fede e dalla carità di mia madre, infermiera sempre pronta a passare di casa in casa con la disponibilità e la gratuità della vedova evangelica. Casa mia era l’incrocio dei più poveri, c’era sempre qualcosa per tutti, l’accoglienza affettuosa soprattutto, fatta con grande semplicità. Mia madre era una donna intelligente e colta a suo modo, pur non avendo fatto le scuole superiori, grande lettrice, non si è mai posta il problema, se conveniva o meno portarmi in chiesa. Mi ci portava, perché faceva parte della sua vita; si vedeva che non ne poteva fare a meno. Così sono cresciuto in questa ricchezza e, appena ho potuto, ho manifestato il desiderio di diventare sacerdote tra gli Agostiniani, perché c’era già un cugino agostiniano che mi piaceva molto. Al parroco che mi obiettava brutalmente dall’altezza della sua mole gigantesca che gli Agostiniani stavano morendo, ebbi l’ardire di rispondergli che andavo tra gli Agostiniani anche per dargli una mano. Poi la mano l’ho avuta io, e gli Agostiniani sono ancora vivi’. Che cosa ha dato alla sua storia di sacerdote ed al suo incontro con il Cristo, l’incontro con sant’Agostino? ‘Dovrei ripetere quello che lo stesso Agostino ci racconta a proposito della lettura del dialogo ciceroniano L’Ortensio. Gli ha cambiato la vita, il suo stesso modo di pregare. Agostino mi ha aiutato molto a conoscere Cristo, soprattutto quando lo presenta il ‘medico umile’ che ci aiuta a ritrovare noi stessi e la nostra vera libertà. Senza Agostino non so se sarei riuscito a vivere la mia esperienza cristiana e sacerdotale con lo stesso entusiasmo. Sant’Agostino è un maestro e compagno di viaggio impareggiabile. Veramente la fede in Cristo, in Dio, è indispensabile per vivere. Ma abbiamo bisogno di chi, come Agostino, ce la faccia scoprire come il dono più bello, che non umilia ma esalta. (segue a pag. II) Cosa regala all’esperienza di un uomo di Dio l’essere frate? ‘E’ il regalo di una Regola di vita che potenzia ogni giorno la scelta fondamentale, quella cristiana, di essere e vivere ogni giorno la Chiesa. L’interpretazione agostiniana della vita monastica, sintetizzata splendidamente nella famosissima Regula ad servos Dei, non riguarda tanto uno stato di vita elitario, un gruppo di asceti, quanto piuttosto un gruppo di cristiani autentici che vivono il ‘santo proposito’ di essere Chiesa e di testimoniare la Chiesa, l’unità nella carità. Per cui l’essere frate agostiniano mi ha regalato negli anni la chiarezza e la bellezza della vita cristiana, quella che nasce e si sviluppa intorno all’Eucaristia. Se di ascesi si è trattato, è per acquistare una maggiore libertà interiore e una grande capacità di servizio. La vocazione monastica al servizio della vocazione cristiana. Come declinerà la sua esperienza del convento nel suo ministero episcopale? ‘Sarà tutto da vedere. Mi vengono in mente le petizioni accorate di sant’Agostino alla sua gente, quando non riusciva a trovare il tempo per studiare, ricercare e scrivere a vantaggio di tutta la Chiesa. Una volta scese a patti: ‘Alcuni giorni della settimana me li lasciate tranquilli per studiare, gli altri li dedicherò tutti a voi, ai vostri problemi’. Ma la tregua è durata poco. Allora preferiva dedicare le notti allo studio e alla preghiera. Un vescovo oggi è tutto della sua Chiesa e io spero di non vivere nessun dualismo frenante. Sono vostro vescovo e basta, possibilmente tutto di tutti, a cominciare dai più diretti collaboratori che sono i sacerdoti. Questo però non significa abbandonare certi ritmi interiori, di preghiera e di studio, che sono indispensabili alla disponibilità e alla purezza di cuore per tutti. Vorrà dire che cercherò di sfruttare di più i tempi del grande silenzio, quando tutti dormono. C’è poi l’esperienza del convento in quanto comunità, che spero di non abbandonare, ricreando nello stesso episcopio una forma di condivisione che potenzi l’esperienza e la testimonianza della Chiesa. Ho scritto a suo tempo un commento ai discorsi di sant’Agostino sulla vita comune del clero. E’ ora di vedere se è un’esperienza possibile anche per me’. Avrebbe mai pensato che un giorno sarebbe stato chiamato a guidare una diocesi nel cuore dell’Umbria, terra di santi ma forse oggi con una santità sopita? ‘In Umbria mi sono trovato bene al tempo della mia permanenza a Cascia, e ho avuto modo di approfondire le meraviglie compiute dal Signore in tanti nostri santi. Non ho mai pensato di ritornarci come vescovo, tutt’al più come frate confessore. Adesso non possiamo ignorare questo discorso della santità che ci tocca da vicino, in prima persona. Se è una santità sopita, il Signore ci darà il fuoco necessario per riaccenderla anche in tante famiglie: la sua speranza non delude!’ Quali passi può fare la chiesa Umbra per risvegliare nei suoi abitanti una fede viva? ‘Per mia fortuna, la chiesa umbra sta già camminando bene su questa strada, che dobbiamo percorrere insieme con l’apporto di tutti. Se posso aggiungere un’idea che mi martella nella mente da tempo, mi riferisco ad un passo essenzialmente ‘eucaristico’, cioè all’essenzialità della nostra vita cristiana che è esperienza eucaristica: da qui può rinascere tutto. E non è una novità. Ad Orvieto-Todi forse spetta questo impegno più specifico e caratteristico’. Come pensa di riversare questi contenuti ‘che fanno parte anche del suo stemma ‘ nella sua azione pastorale? ‘Vorrei agire con grande semplicità, ma anche con una certa chiarezza e determinazione. Vorrei ridare a tutti quanto già ci appartiene, ma che ancora non riusciamo a far fruttare come un insieme di talenti: quella Parola e quel Pane, che insieme ci fanno Corpo. In fondo è lo stesso programma del mio predecessore, Mons. Lucio Decio Grandoni (‘unum corpus multi sumus’). A Orvieto Todi non può essere diverso, ma dobbiamo insistere per aiutare tutti, dai più piccoli ai più grandi, a credere di più nella potenza della Parola e del Pane di vita. Non possediamo ancora la cultura della Parola quotidiana che la liturgia ci offre. Dobbiamo insieme trovare la metodologia giusta per ascoltare quotidianamente il vangelo che ci permette di costruire, sempre insieme, una nuova città. Non possiamo sottrarci ala nostra specifica vocazione’ In Umbria invecchia la popolazione ed invecchia il clero. Non c’è ricambio, si è prossimi alla crescita zero. C’è il rischio che questa terra inaridisca? Come mettere in circolo nuova linfa vitale? ‘Il problema è serio per le famiglie e per la stessa chiesa. Ma non va affrontato con angoscia. Dobbiamo prenderlo come un forte richiamo alle nostre responsabilità di cittadini e di credenti. Dobbiamo soprattutto continuare a ricuperare un’identità cristiana che ci permette di servire la vita con una originalità che diventa subito speranza e novità. Quando siamo autentici, la vita riprende e si mette in circolo una nuova linfa vitale; non per nulla il vangelo è buona notizia’. Quale sarà il suo stile di vita costretto a dividersi, (o meglio a moltiplicarsi) tra Orvieto e Todi, e tra tutte le altre necessità della chiesa diocesana? ‘E’ certo meglio moltiplicarsi che dividersi, anche se il problema resta e non è mai facile accontentare tutti. Il desiderio c’è e spero anche di riuscirci. Ma è anche un problema che dobbiamo affrontare tutti con tanta buona volontà. Se ci sentiamo un’unica chiesa che cresce sotto la guida dell’unico Pastore che è anzitutto Cristo, ci sarà più facile superare le inevitabili difficoltà legate allo spazio e al tempo. Soprattutto ci sarà più facile evitare divisioni e inutili drammatizzazioni. Cercherò comunque di essere più vicino possibile a tutti, senza discriminazioni. Come? Venendo, senza farmi aspettare troppo. Casa mia comunque sarà sempre aperta’.

AUTORE: Gianluca Tomassi