In cinque anni in Umbria raddoppiate le imprese edili

La ricostruzione ha portato ossigeno alle imprese edili. Timori per il futuro

Un bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto. Così appare il settore delle costruzioni edili a cinque anni dal terremoto umbro-marchigiano. La ricostruzione nella fase dell’emergenza fu uno straordinario sforzo congiunto di imprese, enti pubblici, organizzazioni imprenditoriali e sindacati dei lavoratori. Spirito di solidarietà e disponibilità a intervenire nell’immediato prevalsero – in genere – sulle logiche imprenditoriali. Certo, tutti avevano capito che la ricostruzione era l’opportunità giusta per restituire al settore edile un ruolo centrale nell’economia locale, dopo la brutta crisi del settore iniziata nel 1992. Amministratori, sindacati e gli stessi costruttori edili di Ance (Associazione nazionale costruttori edili) Umbria avevano subito ritenuto opportuno delineare un “sistema delle regole” certo e da applicare a tutti i soggetti attratti dalle ingenti risorse finanziarie stanziate per la ricostruzione. Un obiettivo raggiunto solo in parte – secondo il Sindacato umbro dei costruttori edili – con l’elaborazione del Documento unico di regolarità contributiva, perché – per il resto – gli interessi contrastanti delle parti avrebbero ostacolato il processo. I cittadini, ad esempio, cercando di contenere i costi di ristrutturazione, avrebbero spinto spesso tecnici e imprese a tagliare sulle risorse necessarie per la sicurezza dei cantieri. All’Ance spiegano che i tentativi di dare regole certe alla ricostruzione, anche da parte delle imprese, non sono certo mancati. I risultati concreti, però, sarebbero inferiori alle aspettative. Ma non ci sono certo solo spine per le imprese edili, nei cinque anni di ricostruzione post-terremoto in Umbria. Il Documento unico di regolarità contributiva (Durc), introdotto in Umbria per contrastare il lavoro nero, sta diventando – ad esempio – un punto di riferimento a livello nazionale per il settore delle costruzioni. Frutto della concertazione tra amministrazioni pubbliche, associazioni di categoria e organizzazioni sindacali dei lavoratori, il documento ha introdotto precise procedure di controllo e il passaggio a una verifica sostanziale sul rispetto degli obblighi in favore dei lavoratori da parte delle imprese. La presentazione del Durc attesta la posizione regolare dell’impresa e vincola la liquidazione delle rate contributive che i Comuni erogano a favore dei committenti. In un lustro, poi, le imprese edili operanti nella provincia di Perugia sono raddoppiate, dalle 1.434 del 1996 alle 2.886 registrate alla fine del 2001. Aumentate anche in provincia di Terni, dalle 540 di prima del sisma alle attuali 631. Più che duplicati gli operai iscritti alla Cassa edile di Perugia, grazie anche alla sollecitazione per l’emersione del lavoro nero prodotta dal Durc. Secondo i dati sono passati da 7.552 a 17.959, considerando sia le imprese della provincia che quelle di fuori provincia. La massa salari complessiva è calcolata in oltre 111 milioni di euro, per un monte di oltre 16 milioni di ore lavorate a Perugia, di quasi 24 milioni di euro per 3 milioni e 756 mila ore di lavoro a Terni. Anche le previsioni per il futuro del settore edile sono velate da qualche nuvola. Secondo il Sindacato umbro dei costruttori edili, la fine della ricostruzione – già iniziata con la conclusione di quella leggera – porterà fra qualche anno il mercato a una situazione assai complessa. Difficile soprattutto se si pensa a meccanismi di concorrenza sleale che si potranno innescare nella competizione tra le imprese. Per questo è ancora necessario e urgente un forte sistema delle regole. Mario Fagotti: “Ritardi e incertezze a causa dell’accaparramento dei lavori” Luciano Tortoioli: “I cittadini hanno scelto liberamente architetti e geometri” Interessi contrastanti che in Umbria hanno frenato uno sviluppo corretto e non caotico nel settore delle costruzioni edili. Sono quelli che per mesi e anni, dopo la fase dell’emergenza e l’inizio della ricostruzione vera e propria, hanno alimentato le polemiche, sia sui cantieri sia negli ambienti politici e amministrativi. “L’impegno e la volontà di costruire un sistema di regole e garanzie da parte delle amministrazioni, dei sindacati dei lavoratori e dei costruttori – spiega Mario Fagotti, presidente dell’Associazione nazionale costruttori edili dell’Umbria – si sono scontrati con interessi spesso contrastanti, come quelli del cittadino che chiede l’abbassamento dei costi e magari di pagare tutto il lavoro con il contributo pubblico che, al contrario, non prevede una copertura integrale delle opere”. Così, secondo l’Ance umbra, senza una serie di certezze normative per evitare l’arrembaggio al “grande mercato” della ricostruzione, in particolare da parte delle imprese di fuori regione, il settore è cresciuto e si è gonfiato. Ma senza controlli e percorsi che, ad esempio, consentissero di distribuire il lavoro in maniera omogenea tra imprese e tecnici, in base alle possibilità e alle capacità di ognuno. E’ capitato, così, che qualche architetto o ingegnere si è accaparrato centinaia di cantieri (un tecnico folignate ha superato i 400 progetti). Lo stesso è successo per alcune imprese, che hanno collezionato decine di appalti. Ma nessuno tra loro, né tecnici né imprese, hanno pensato ai tempi di realizzazione dei lavori, contribuendo ad aumentare ritardi e incertezze. “Purtroppo in questo caso – commenta ancora Fagotti – un assertore del libero mercato deve amaramente ammettere che l’unico modo per contrastare le logiche di condominio era accentuare il dirigismo, con l’assunzione delle responsabilità di ognuno e non speculando con contrapposizioni politiche sullo stato di bisogno dei terremotati”. Una soluzione che non poteva comunque essere praticata, secondo Luciano Tortoioli, direttore del settore politiche territoriali della Regione Umbria. “Una politica di regole dirigistica – sostiene – avrebbe messo i proprietari privati in rapporto più stretto con le amministrazioni pubbliche, creando rapporti molto più difficili e complessi, forti contenziosi tra le parti nel caso di disaccordi su soluzioni progettuali e tecniche”. Così l’ente pubblico si è limitato alle regole e ai controlli, lasciando in mano ai privati l’intervento, la progettazione, la scelta di tecnico e impresa. Con gli aspetti “patologici” che ne sono derivati, come l’accaparramento dei progetti da parte di alcuni tecnici. “Non poteva essere altrimenti visto che i cittadini hanno scelto liberamente architetti, geometri o ingegneri”, spiega Tortoioli. “Noi abbiamo anche indicato ai proprietari – aggiunge – che potevano rinunciare al progettista, magari perché troppo impegnato, per trovarne un altro. Ci sono atti deliberativi della Regione in questo senso. Ma nessun proprietario ha rinunciato al tecnico scelto nel primo momento”.

AUTORE: Daniele Morini