In “tutti” ci sono “tutte”

Negli atti ufficiali del Senato (verbali, convocazioni, ecc.) si continuerà a usare come in passato la parola plurale “senatori” (al plurale) per indicare nel loro insieme le persone che ne fanno parte. Lo ha deciso la Presidenza del Senato, respingendo la richiesta che era stata avanzata di dire e scrivere, sempre, “i senatori e le senatrici”. Per quello che conta la mia opinione, cioè nulla, sono d’accordo con questa decisione, che invece è biasimata da quelli – e quelle – che vorrebbero un linguaggio “inclusivo”. Siccome usiamo la lingua italiana, usiamola secondo le sue regole condivise.

C’è, fra l’altro, la regola che i sostantivi che indicano persone, se usati al maschile plurale, si riferiscono indifferente a persone tanto del genere maschile che di quello femminile; e anche a coloro che non si riconoscono in alcuno dei due, o si riconoscono in entrambi. Vediamo la Costituzione, che oltre a essere la legge fondamentale, è un perfetto esempio di buona lingua italiana.

L’articolo 3 dice: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso”; a nessuno può venire il sospetto che non valga anche per le cittadine. Così, quando l’art. 19 dice: “Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa”, e l’art. 21 aggiunge: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero”, è chiaro che la parola “tutti” vuole indicare, e indica, proprio tutti, nessuno escluso. Quindi è il termine più inclusivo che si può. Se invece si dicesse e si scrivesse “tutti e tutte”, qualcuno direbbe che non è ancora abbastanza inclusivo, e che sarebbe meglio scrivere “tutt*” con un asterisco, o un’altra grafia impronunciabile.

La diatriba dura dal 1998, quando l’allora ministro della Pubblica istruzione, Luigi Berlinguer, fu autore dello Statuto delle studentesse e degli studenti della scuola secondaria, e lo volle chiamare così perché a nessuno venisse il dubbio che valesse solo per i ragazzi e non anche per le ragazze; che sarebbe stata una sciocchezza. Ma così si finisce col rendere incerto il senso delle più solenni – e inclusive – affermazioni della Costituzione.